1)Non è pensabile un sistema-mondo nel quale alcuni paesi esportano sempre più di quanto importano e viceversa, ma solo sull’equilibrio tendenziale del reciproco export-import.

2)Volere esportare più di quanto si importa vuol dire pretendere di esportare nei paesi “fratelli”, insieme ai propri beni e servizi, anche tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne comporta la mancata produzione nazionale che si va a soppiantare con queste esportazioni.

3)il cambio della moneta non deve essere né “forte” né “debole”, ma semplicemente “vero”, ossia in linea con i propri “fondamentali”, concordando la periodica svalutazione delle valute delle aree a maggiore inflazione in misura pari all’eventuale differenziale di inflazione rispetto alle altre aree valutarie.

4)Lo sviluppo di ogni economia va poggiato sul proprio mercato interno in regime di pareggio tendenziale dell’export-import e cambi concordati.

5)Nessuno investe o assume di più solo perché costa di meno farlo se nel contempo non aumentano gli sbocchi di mercato, poiché non sarebbe profittevolmente collocabile quella maggiore produzione che si andasse a conseguire con quei pur meno cari investimenti e occupati aggiuntivi.

6)Se la domanda interna al saldo dell’export-import resta invariata, non serve a nulla favorire le imprese che assumono donne, giovani o al sud, perché non faranno altro che licenziare corrispondente gli uomini, i non giovani e al nord.

7)tagliare retribuzioni e welfare per conseguire una maggiore competitività (in realtà solo “stracciona” perché conseguita sul fronte dei costi e non della qualità del prodotto) funziona necessariamente come un boomerang perché comprime il mercato interno senza potere realisticamente contrastare la concorrenza “sleale” delle imprese delocalizzate in aree dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo (che andrebbero invece gravate di adeguati dazi compensativi da welfare ed ecologia) ed ha dunque la stessa logica demenziale di segare il ramo su cui si è seduti!

8)Per sostenere investimenti e occupazione occorre espandere la domanda interna stornando risorse dai risparmi inutilmente tesaurizzati verso i consumi privati e pubblici con: una riforma fiscale progressiva e patrimoniale, il calmiere sui canoni della grande proprietà immobiliare, sugli interessi bancari, sui premi assicurativi e sulle tariffe telefoniche, un politica retributiva meno sperequata e altro deficit-spending.

9)Il nostro debito pubblico (circa 2.000 mld, -ndr: oggi fine 1 semestre 2016, oltre 2.300mld) viene da una politica di alti tassi sui btp, di detassazione dei ceti possidenti, dalla tolleranza suicida verso la evasione, la elusione fiscale e i paradisi fiscali.

10)Gli “sprechi” della casta politico-amministrativa pesano sui 25-50 mld annui, laddove gli interessi sui btp quasi 90 mld, almeno 100 l’evasione fiscale e altri 150 la elusione fiscale e i trasferimenti verso i paradisi fiscali.

11)Lo spread si giustifica ufficialmente come sconto per consentire agli acquirenti di btp di assicurarsi contro il nostro default acquistando dei Credit Default Swap, ma, essendo in realtà impossibile il fallimento di uno stato sovrano, nessuno compra CDS a copertura di btp, intascando la differenza a nostro danno, speculando per giunta sul nostro spread per fare crescere questo sconto.

12)E’ folle fare sacrifici popolari pesantemente recessivi per fare calare lo spread, quando ogni 100 punti (ossia 1%) di spread pesano 20 mld l’anno solo “a regime”, mentre, dato che ogni anno di btp ne scade solo la decima parte circa, la contrazione dello spread da 500 a 300 punti ha fatto risparmiare appena 4 mld su base annua a fronte di 40 mld di sacrifici pesantemente recessivi.

13)Dopo un anno di sacrifici popolari inflitti da Monti, il nostro PIL è calato recessivamente di oltre il 3%, facendo calare corrispondentemente le nostre entrate tributarie e quindi facendo aumentare ulteriormente il nostro indebitamento pubblico (+2% circa), per cui il nostro rapporto debito/PIL, anziché migliorare, è passato dal 120% al 130%.

14)E’ assurdo regalare 90 mld l’anno per insistere a collocare tra il 5,00% (oggi) e il 7,00% (l’anno scorso) i nostri btp sui mercati finanziari internazionali, notoriamente speculativi, anziché risparmiarne oltre 70 collocandoli allo 0,75% (il tasso praticato dalla BCE) presso banche pubbliche (com’è consentito dal trattato di Lisbona), presso la BdI o anche “alla giapponese”, ossia forzosamente presso le banche commerciali che intendono operare in Italia. Ma non è assurdo per chi intasca questi interessi maggiorati!

15)Nel giro di 25 anni, le ricette liberiste hanno consentito all’1% più ricco di triplicare la propria ricchezza mentre si dimezzava quella del restante 99%, e, al suo interno, si riduceva di 2/3 quella del 50% più povero. Non è questo sufficiente per cogliere la vera natura del pensiero liberista?

16)Al fine di fare aumentare la dimensione della “fetta” che va ai ceti possidenti si contrae il diametro della “torta” comune da dividere usando la deflazione recessiva e regressiva come mezzo e la deregulation borsistico-valutaria come “alibi”!

17)Monti, ebbro di liberismo, promette impossibili quadrature di bilancio e fantasiose riprese economiche praticando anche in appresso le stesse ricette recessive, come quel pompiere che crede che gli incendi si spengono con la benzina, e, di fronte al divampare delle fiamme, si rammarica di non avere usato abbastanza benzina!

18)Le ricette liberiste “dello sviluppo”, purtroppo, sono le stesse ricette recessive e regressive del “risanamento”, in quanto si basano sulla iper-remunerazione e detassazione dei ceti possidenti, con contemporanea contrazione indefinita di retribuzioni e welfare, aumento del tempo effettivo di lavoro a parità di retribuzione e precarizzazione.

19)I liberisti credono erroneamente che bisogna comprimere retribuzioni e welfare e precarizzare di più per tenere bassa l’inflazione e acquisire una sempre maggiore competitività (“stracciona”, perché conseguita sul fronte dei costi e non della qualità del prodotto), che però rincara troppo l’euro e non è comunque in grado di battere la concorrenza “sleale” delle imprese delocalizzate, aggravando inutilmente i conti pubblici e ridistribuendo in modo sempre più regressivo un PIL in continua contrazione recessiva, nel solo interesse dei ceti possidenti.

20)Investimenti, occupazione e PIL non dipendono dai risparmi disponibili e meno che mai ce n’è una tale carenza endemica che bisogna fare sacrifici inenarrabili per attrarne dall’esterno quanti più è possibile detassando i ceti possidenti e perseguendo con la deflazione recessiva la più bassa inflazione possibile e il cambio “forte”.

21)Dati ISTAT alla mano, mentre i risparmi che residuano ogni anno una volta distribuito socialmente l’equivalente monetario che viene ricavato dalla vendita di quanto è stato prodotto sono il 20% circa del PIL, ammontano ad appena il 5% circa del PIL gli investimenti produttivi che vengono effettuati per produrre l’offerta che soddisfa la domanda per consumi restante (80%) al saldo dell’export-import. Altro che “fame” endemica di capitali, dunque!

22)I risparmi disponibili sono circa 4 volte debordanti le necessità produttive, mentre le banche creano elettronicamente dal nulla, grazie alla “riserva frazionaria”, una moneta creditizia decine di volte maggiore rispetto agli assets bancari.

23)L’inflazione dipende dallo “strozzo” della offerta che viene praticato sistematicamente dei trust sulla base dei responsi del marketing per fare salire il prezzo di equilibrio sino al più alto valore che consente loro gli extraprofitti “da oligopolio”, per cui non si contrasta comprimendo la domanda interna (deflazione) ma con il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust.

24)Dire che la scala mobile è “fattore” di inflazione è come dire che sia l’apertura degli ombrelli la vera causa della pioggia!

25)L’euro “forte” è un boomerang perché se anche favorisce le nostre importazioni necessarie, favorisce anche quelle non necessarie penalizzando nel contempo tutte le nostre esportazioni.

26)La deregulation borsistica e valutaria ci fa rischiare inutilmente il crack sistemico costringendoci per giunta a sistematiche scelte deflattivo-recessive quale unico modo per contenere la speculazione.

27)Dalla crisi si esce solo rinnegando il liberismo e abbandonando la deflazione recessiva e regressiva in regime di deregulation borsistico-valutaria ed euro “forte”.

28)Occorre diffondere la critica al liberismo e unire tatticamente l’intero mondo del lavoro intorno al sostegno keynesiano della domanda interna in regime di inflazione “controllata”, vincoli borsistico-valutari anti-speculazione ed euro “vero”.

29)Le ricette post-keynesiane possono essere applicate a livello UE, se si riesce a fare convergere su di esse tutti i popoli preunitari, o, in alternativa, dai soli paesi secessionari, plausibilmente i PIIGS più la Francia, che farebbero così nascere l’Europa “a due velocità”, lasciando l’euro “forte” ai paesi del nord e a quelli che comunque volessero insistere nelle attuali suicide politiche liberiste, recessive e regressive, o, in ulteriore subordine, dai singoli paesi secessionari.

30)Uscendo dall’euro, se anche la nuova lira quotasse il 30% in meno, poiché materie prime ed energia pesano circa il 10% sui prezzi finali, il nostro export-import ne ricaverebbe comunque un vantaggio del 27% circa.