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Nel capitalismo esistono due circuiti economici che restano in parte distinti tra loro:

 

1)da un lato, esiste il circuito mercantile, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro solo applicando contemporaneamente la fatica e l’intelligenza umane alla trasformazione fisica della natura onde produrre “merci” da vendere con profitto sul mercato. In esso, infatti, il Profitto per essere percepito necessita la previa produzione di merci per il mercato, aumentando inevitabilmente anche la ricchezza “reale” della società;

 

2)dall’altro lato, esiste il circuito finanziario, il così detto “circolo Denaro-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro senza alcuna creazione di “merce”, ma solo con la speculazione.

 

Solo nel primo circuito ci si arricchisce dunque creando nel contempo ricchezza “reale” di cui pure gli altri usufruiscono, se pure nelle forme e quantità determinate dal sistema distributivo, giusto o ingiusto che esso sia.

 

Nel secondo circuito, invece, non avviene nessuna creazione di nuova ricchezza, ma aumenta solo la capacità di prelievo della ricchezza “fisica” prodotta da chi opera nel primo circuito da parte di chi possiede cespiti mobiliari e immobiliari ed opera nel secondo circuito.

 

Anziché gioire da beoti dell’aumento dell’indice di borsa, dunque, dovremmo semmai rattristarcene e chiederci pure, da un lato, quali rischi comporta la instabilità dei mercati finanziari non regolamentati, e, finalmente, dall’altro, chiederci quale sia in definitiva l’architettura creditizio-finanziaria che serve al capitalismo e quale  invece il capitalismo che serve all’attuale architettura creditizio-fianziaria!

 

A questo punto va registrato il notevole ed endemico squilibrio che esiste oggi in tutti i paesi sviluppati tra i Risparmi che residuano alla fine di ogni ciclo D-M-D, che sono pari ogni anno al 20% circa del PIL, e gli Investimenti produttivi che si effettuano nel ciclo successivo, pari ad appena il 3-5% del PIL.  Altro che “fame” endemica di Capitali, dunque, essendoci semmai il loro esubero endemico, in quanto già solo i Risparmi sono circa 5 volte quanto serve ai fini produttivi! Non ha dunque alcuna giustificazione economica la iper-remunerazione dei Redditi da Capitale e la loro tassazione privilegiata, così come quella dei patrimoni, e, ancora, non ha alcun senso tecnico fare “sacrifici” per aumentarne la dotazione e poi vederli rivolgere  verso gli impieghi speculativi anzichè verso quelli produttivi. Esiste anzi un “gap” di Domanda effettiva all’inizio di ogni nuovo ciclo che è pari a circa 1/6 del PIL (sistematicamente quanto incredibilmente ignorato da scienza, media e politici) e che necessita di essere colmato con una componente di Domanda effettiva che sia autonoma dal sistema distributivo e senza la quale si avvia una impansione progressiva dell’intero sistema che viaggia al tasso determinato dal differenziale di Domanda non colmato.

 

Per comprendere come ciò avvenga, occorre però esaminare prima le voci “Moneta”, “Credito”, “Borsa” e “debito pubblico”.


GLI INVESTIMENTI

 

Una volta compresa la circolarità dei sistemi mercantili si comprende perfettamente come Investimenti e Occupazione siano funzione diretta della Offerta che si va a produrre, la quale a sua volta è funzione diretta della Domanda che rende profittevole produrla. Quando la Domanda sale, dunque, aumentano sia gli Investimenti che l’occupazione anche se nel contempo è diventato più caro Investire ed Occupare, mentre, quando la Domanda cala, anche se è diventato nel frattempo meno caro Investire e Occupare, essendo diminuiti gli sbocchi produttivi per la Offerta che si andasse a produrre con quei pur meno cari Investimenti e Occupati, alle imprese non  converrebbe Investire e Occupare di più poiché si ritroverebbero con un invenduto o con prezzi meno remunerativi, per cui non Investirebbero né Occuperebbero di più nemmeno se gli venissero regalati i Capitali con cui farlo, ma semmai li … tesaurizzerebbero o li rivolgerebbero alla speculazione nel circuito Denaro-Denaro!

 

Non ha dunque nessun fondamento scientifico l’idea diffusa dal P.U. per cui contraendo le retribuzioni le imprese Occuperebbero più lavoratori o contraendo il saggio di interesse farebbero più Investimenti produttivi a credito. Per gli effetti di una simile contrazione sulle imprese che Esportano, vedi appresso la voce “Export-Imnport”.


 

EXPORT - IMPORT

 

 

Poiché il costo del lavoro incide per il 5-10% appena sui costi totali (a fronte , oltretutto, di una incidenza degli oneri finanziari che sfiora il 50% nelle imprese medio-piccole), nemmeno se i nostri lavoratori lavorassero gratis potremmo battere la concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove hanno costi bassissimi per la sicurezza, il welfare e le imposte. Ignorarlo è semplicemente criminale e ha una funzione esclusivamente ideologica e di copertura rispetto alla deflazione recessiva che in realtà si vuole perseguire e che così passa sotto le specie del perseguimento di una crescente competitività (oltretutto stracciona).

 

Per i paesi sviluppati, dunque, nessuna contrazione della Domanda interna così conseguita può essere compensata dal miglioramento del saldo Export-Import e contribuisce soltanto alla alimentazione della recessione internazionale.

 

Lo stesso discorso va fatto per le delocalizzazioni, in quanto la perdita del monte salari e dell’indotto provocato, poniamo, a Detroit dallo smantellamento in loco del comparto auto per la sua delocalizzazione in oriente, comporta una contrazione della Domanda internazionale che è un sottomultiplo della Domanda internazionale che si crea in oriente per effetto della delocalizzazione, risolvendosi in una perdita secca per il pianeta. Si aggiunga che lo sfruttamento umano ed ecologico che viene praticato nelle regioni in cui si delocalizza è estremamente maggiore di quello che si praticava nelle zone che hanno subito la delocalizzazione e basta una qualsiasi immagine dal satellite per darne la dimensione ottica immediata. Il P.U. utilizza a giustificazione due argomenti capziosi e infondati: 1)che si realizza così un opera umanitaria in quanto vengono a soffrire aree “ricche” e si allevia la sofferenza in quelle “povere”; 2)che il processo di globalizzazione è inarrestabile e insieme provvido per il pianeta nel suo complesso. La falsità e la capziosità di simili ipocrite affermazioni risiedono nella circostanza che esistono validissime alternative alle delocalizzazioni selvagge al sud per la riesportazione al nord dell’Offerta così prodotta e che non esiste una sola globalizzazione, quella che piace ai trust e che vuole portare i livelli di civiltà del nord ai più bassi livelli del sud. Esiste infatti anche una globalizzazione che opera all’incontrario, ovvero spingendo verso l’alto al sud i livelli di civiltà ivi presenti, facendo trainare lo sviluppo da una Domanda locale per Consumi popolari pubblici e privati ivi finanziata (v. appresso) con la Moneta “virtuale” del nord e tenendo conto delle situazioni e degli equilibri locali onde conseguire uno sviluppo armonioso e rispettoso delle resistenze tradizionali indigene.

 

Va infine tenuto conto anche delle potenzialità belliche di una impostazione per cui è solo Esportando a danno delle economie terze che si può espandere la propria economia. Come vedremo meglio nella sezione dedicata alla Moneta e al debito pubblico, è possibile e insieme doveroso fondare la espansione interna ad ogni paese sulla promozione della sua Domanda per Consumi popolari pubblici e privati finanziata con la Moneta “virtuale”, previa la sua sottrazione al controllo della elite creditizio-finanziaria che comanda il mondo e la sua sottoposizione al controllo democratico.

 

Una volta compreso che il commercio internazionale va impostato sul pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import, si comprende anche la necessità di una nuova Bretton Woods, per la cui analisi si rimanda alle voci “Moneta”, “Credito” e “Borsa”.


 

L'INFLAZIONE

A proposito della inflazione va subito chiarito che non si tratta affatto di un fenomeno spontaneo e quasi automatico, come vorrebbe invece lasciar credere il P.U. svolgendo le sue analisi in un ipotetico mercato di concorrenza perfetta che non esiste ormai da secoli e che mai tornerà ad esistere.

 

Noi oggi viviamo nell’oligo-monopolio, ovvero in una realtà dominata dai trust e dai loro accordi di cartello in quasi ogni settore merceologico, mentre le imprese esterne rispetto ai trust vivono il prezzi fissati in cartello come delle realtà di fatto “date” e su cui non possono influire e meno che mai possono farlo vendendo a prezzi più bassi, stante la ridottissima quota di mercato da loro copribile.

 

I trust, a loro volta, fissano di regola i listini all’ingrosso in funzione dei responsi del marketing limitando l’Offerta a quei più bassi livelli ai quali possono trasferire sui prezzi tanta tensione esercitata dalla quota di Domanda così da loro lasciata scientificamente insoddisfatta da lucrare il massimo profitto percentuale rispetto ai Capitali da loro Investiti (così detti “extra-profitti da oligopolio”), mentre con la pubblicità tentano di fare accettare dai compratori prezzi sempre più alti “pompando” ulteriormente così i loro extraprofitti.

 

E’ la stesa logica della distruzione periodica di arance e pomodori, solo che non-produrre qualcosa è molto meno “visibile” di distruggere parte di ciò che la natura e non l’uomo ha creato, essendo possibile coglierlo solo con l’occhio della mente, e si verifica in questi casi una “inflazione da oligopolio”, accanto alla quale esistono pure, dunque, una disoccupazione da oligopolio e un sottosviluppo da oligopolio!

 

Orbene, da queste acquisizioni discende pure che è per questo che le fasi espansive sono necessariamente anche (e non solo) inflattive, ma discende che lo sono non a causa della Domanda, bensì a causa delle politiche tariffarie dei trust, le quali sono dunque  contrastabili (e vanno contrastate) solo con il calmiere all’ingrosso e l’antitrust!

 

Che dire allora della “stagflation”, ovvero della inflazione a una cifra che stranamente accompagna fasi recessive, come accade nella UE da almeno 15 anni? A rigore si tratterebbe di un fenomeno tecnicamente impossibile, visto che quando la Domanda cala il marketing segnala di quanto contrarre Offerta e prezzi per continuare a conseguire il massimo profitto percentuale nelle mutate peggiori condizioni. L’arcano si spiega infatti con la scelta dei trust di contrarre ogni volta volontariamente l’Offerta più ancora rispetto alla contrazione della Domanda che si sta registrando sul mercato al preciso fine di mantenere e regolare il tasso di inflazione preferito pure nelle fasi recessive. Per comprendere il perché di un simile comportamento bisogna considerare:

 

1)che i trust sono anche fortemente finanziarizzati essi stessi e per giunta integrati in un unico “club” con le grosse banche loro “sorelle” da cui ricevono Moneta creditizia senza limiti ed a costo effettivo intergruppo pari a zero. In una logica di gruppo, dunque, il prodotto sociale di cui non riescono ad appropriarsi in conseguenza della porzione di extraprofitti che va così perduta, viene più che compensata dal maggiore signoraggio cartolare (v. appresso la voce “il Credito”) consentito dal contesto deflattivo-recessivo che creano con la stagflation e con la omertosa complicità delle compagini di governo che insistono poi a contrastare sempre e comunque con la deflazione (recessiva) anziché con il calmiere all’ingrosso e l’antitrust la pur bassa inflazione che i trust provocano ed alimentano volontariamente;

 

2)che un contesto di inflazione strisciante mista a recessione e nel quale oltretutto retribuzioni e pensioni non recuperano con aumenti nominali tutto il terreno perduto con l’inflazione, gli equilibri politici si spostano gradualmente a vantaggio dei trust finanziarizzati sia nei rapporti con le maestranze organizzate, sia nei confronti delle imprese esterne rispetto ai trust, di cui possono rastrellare sempre più facilmente ed a prezzi da fallimento i pacchetti di controllo a misura che la recessione le manda in decozione;

 

3) che la deflazione recessiva prolungata distrugge progressivamente anche il tessuto democratico vincolando alla elite creditizio-finanziaria politici e media, che sono sempre più ricattabili quanto più si impoverisce il paese.

 

Aggiungiamo poi che l’inflazione è stata sottostimata ufficialmente da oltre 15 anni di almeno 3 punti percentuali ogni anno, con la conseguenza che le retribuzioni e le pensioni nominali sono state reintegrate solo nella minore misura dell’inflazione rilevata ufficialmente, provocandone la erosione nascosta al ritmo del 3% composto annuo, il che ne ha comportato la contrazione in termini “reali” di oltre il loro 60%, portando anche alla corrispondente sovrastima ufficiale del nostro PIL “reale” ed all’occultamento della recessione in atto. E poiché la spesa pubblica nominale è stata maggiorata anch’essa ogni anno della stessa percentuale, anche la Domanda pubblica a disposizione delle nostre imprese sul mercato nazionale si è contratta della stessa misura in cui si sono contratti i Consumi privati, provocando così la corrispondente contrazione degli Investimenti produttivi ed una contrazione degli ammortamenti ancora maggiore, nonché la espulsione crescente di mano d’opera dal mercato del lavoro e l’aumento della precarizzazione e del lavoro “nero”, mandando in progressiva decozione le nostre imprese, messe in difficoltà crescente sui mercati internazionali da un euro che intanto si rafforzava sempre di più. E’ più chiaro, adesso, il quadro delle complicità politiche, sociali, scientifiche e mediatiche richiesto dal protrarsi della stagflation?


 

IL CAMBIO

L’euro “forte” serve solo ai detentori di Capitali, agli speculatori ed a chi intende delocalizzarsi, mentre servono loro anche gli strumenti che vengono utilizzati per renderlo “forte”, in quanto consistono in continui tagli deflattivi dei Consumi popolari interni pubblici e privati ed in insistiti e reiterati privilegi remunerativi, legislativi e fiscali concessi ai ceti possidenti. Per l’Export-Import è invece un boomerang, in quanto rincara i prezzi all’estero di tutte le nostre Esportazioni e rende meno care in Italia tutte le Importazioni, non solo quelle “necessarie”. In sintesi, dunque, la deflazione recessiva con euro “forte” dovrebbe piacere solo alla Rendita ed ai trust finanziarizzati, mentre all’intero mondo del lavoro (lavoratori e imprese medio-piccole)  dovrebbe piacere la espansione inflattiva e l’euro “debole”. Se scienza, media e politici di ogni orientamento non chiariscono i reali termini di questo scontro di classe è perché “ci fanno” o “ci sono”, mentre solo i non esperti sono giustificati, pur se bisogna ammettere che meno economia si studia e meglio è se questa economia è quella del P.U!

 

In entrambi i casi, però, è assolutamente certo che non resta che darsi nuove rappresentanze politiche e maturare un nuovo senso della democrazia e del controllo democratico dei media. Tanto più ciò è vero quando si considera che a fronte di inflazioni interne diverse la competitività relativa delle varie imprese nazionali può essere agevolmente perseguita svalutando periodicamente la Moneta del paese che registra la più alta inflazione (perché si espande maggiormente e/o non riesce a contrastare efficacemente l’inflazione con calmiere e antitrust) rispetto a quella del paese a più bassa inflazione, di una percentuale … uguale al loro differenziale di inflazione! Non se ne parla, ancora una volta, solo perché è una opzione che presuppone logicamente l’abbandono della deregulation valutaria e borsistica e perchè avvalora scientificamente la possibilità di fondare la espansione sullo sviluppo dei Consumi popolari interni pubblici e privati e smentisce la tesi pseudo-liberista che è il Risparmio il “motore” della economia mentre la Domanda interna è un solo un freno, e pure pericoloso, spostando brutalmente a sinistra l’asse del dibattito politico-economico.


 

LA MONETA

Questo è l’argomento su cui maggiormente il P.U. tiene a depistare i critici. Dopo avere sviato l’attenzione dalla “circolarità” del sistema mercantile e sostenuto che l’espansione va perseguita con il modello “bassi salari + Esportazioni”, il P.U. teme che si diffonda una idea della Moneta che metta in crisi la conservazione dell’attuale architettura creditizio-finanziaria e del sistema di privilegi ad essa connessa. Troppi però sono gli scheletri nel suo armadio e la prima cosa da sapere è che la maggior parte della Moneta circolante è privata, almeno per quanto concerne tutti i dollari e gli euro in circolazione, in quanto creati dal nulla e quindi incredibilmente venduti agli stati dalla privatissima Fed (consorzio costituito nel 1913 tra le più grosse banche private USA) e della BCE spa (costituita dalle varie banche centrali europee private, pubbliche  e miste)  al loro prezzo nominale anziché al loro costo di tipografia (signoraggio primario)!


 

IL CREDITO

La prima cosa da sapere (e che stranamente non è notoria a dispetto della sua assoluta intuibilità) è che gli oneri finanziari sono un consistente costo che grava sulla produzione frenandola, e, insieme, costituiscono un trasferimento di ricchezza che opera verso la Rendita creditizio-finanziaria: 1)dal Profitto, direttamente come voce di costo, e 2)dall’intera società civile, indirettamente, come quota aggiuntiva traslata sui prezzi di vendita.

 

In buona sostanza, più costa il denaro e meno saremo ricchi tutti gli altri, acquisizione dalla quale dovrebbe discendere la ovvia conseguenza che sarebbe auspicabile non la remunerazione del denaro in quanto tale (e meno che mai la sua iper-remunerazione) ma la sua progressiva erosione nel tempo ove non utilizzato nel circuito produttivo, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, un po’ come il ghiaccio, che se non lo si usa pian piano si squaglia. Ciò ovviamente non piace ai tradizionali ceti possidenti e all’intero sistema creditizio-finanziario, che oppongono mille barriere a una simile prospettiva, barriere che sono innanzitutto pseudoscientifiche, ovvero ideologiche, e che poi sono comunque politiche e, se necessario, militari.

 

La seconda cosa da sapere, è che il saggio di interesse, che è il prezzo del denaro, non si forma in un mercato concorrenziale, ma viene deciso centralmente da chi ha il controllo oligopolistico dell’Offerta di denaro: la banca centrale, la quale di solito è la espressione associata della volontà delle più grosse banche nazionali e/o internazionali (sic!). Se il prezzo del denaro si formasse in un mercato concorrenziale (e non si vede nemmeno perché mai un settore di così grande importanza strategica per ogni nazione dovrebbe essere lasciato ai privati) esso sarebbe bassissimo o perfino negativo com’era nel medio evo. Basti pensare, infatti, che  conti alla mano i Risparmi di fine-ciclo sono in genere il 20% circa del PIL mentre gli Investimenti produttivi appena il 3-5% ed anche se fossero fatti tutti a credito, il che non è affatto, esisterebbe uno squilibrio tra Domanda e Offerta di denaro a fini produttivi di circa 5 volte! Poiché non è ragionevole pensare che gli Investimenti produttivi debbano essere effettuati allo stesso prezzo dei prestiti fatti ai consumatori, si comprende bene come urge una riforma radicale del credito, le cui linee saranno più chiare studiando il meccanismo di formazione del credito e la sua effettiva natura di Moneta: la Moneta creditizia. Non solo è Moneta tutta la Moneta creditizia in circolazione, ma essa è quasi tutta privata e, ancora, è solo “virtuale” grazie ad un doppio privilegio concesso alle banche private dalle leggi di tutto il mondo:

 

A)da un lato, per via del così detto “moltiplicatore dei depositi bancari”, che consiste nel privilegio di potere lecitamente prestare anche Moneta inesistente nelle loro casse “creandola elettronicamente” al momento del prestito, con l’unico limite di contenere questa creazione di Moneta “virtuale” entro quell’ammontare il cui “x”% fissato per legge sia pari al loro patrimonio: se la riserva obbligatoria è, ad esempio, del 2%, questo non vorrà dire che potranno prestare tanta Moneta propria che, unita a quella da loro creata elettronicamente, non superi il 98% del loro patrimonio, come verrebbe ingenuamente di credere, bensì che non dovranno superare il limite di 49 volte, in quanto 49+1=50 e il 2% di 50=1. Se è del 4%, 24 volte, in quanto 24+1=25 e il 4% di 25=1. Se è del 10%, 9 volte, perché 9+1=10 e il 10% di 10=1, e così via!

 

B)Dall’altro lato, abbiamo il così detto “reflusso bancario”, che consiste nel privilegio consentito da una convenzione contabile valevole in tutto il mondo, per cui queste stesse banche private non sono tenute a nullificare alla restituzione o consegnare al Tesoro la Moneta da loro creata elettronicamente dal nulla al momento del prestito, potendola bensì … trattenere esentasse e a costo-zero nel proprio stato patrimoniale, maggiorando progressivamente la propria dotazione di Moneta elettronica “allo scoperto” e contenendo progressivamente, per giunta, il valore percentuale effettivo della riserva (signoraggio secondario o creditizio)!

 

Ad oggi, la Moneta creditizia ha quasi del tutto sostituito il contante negli scambi, tanto che oltre il 99% delle transazioni avviene in Moneta creditizia “virtuale”, mentre, data la proprietà privata delle più grosse banche centrali e comunque la sudditanza delle restanti rispetto al potere politico delle grosse banche private, e dato anche il loro elevatissimo livello di integrazione, i controlli sono pressoché inesistenti e si calcola che il moltiplicatore bancario dei colossi bancari USA  sia ormai compreso tra 1000 e 100.000, se non addirittura infinito, mentre la Moneta creditizia “allo scoperto” oggi in giro per il mondo potrebbe ormai comprare (senza pagare) oltre 5 volte l’intero pianeta terra rendendo ridicola la pretesa che le banche centrali vigilerebbero virtuosamente per mantenere il rapporto 1:1 tra la Moneta e ciò che essa “compra” pena l’iperinflazione!


 

LA BORSA

E’ altresì Moneta, è privata ed è “allo scoperto” pure la quasi totalità della massa cartolare oggi in circolazione, costituita dalla “bolla speculativa” mobiliare, di dimensione ormai decine di volte maggiore della Moneta creditizia “virtuale”. E va pure tenuto bene a mente che quando aumenta l’indice di borsa o il prezzo al mq del mattone senza che aumenti corrispondentemente la ricchezza “relae” che i titoli dovrebbero rappresentare o la qualità degli immobili, non aumenta affatto la ricchezza comune ma si realizza solo una inflazione speculativa dei cespiti mobiliari e immobiliari nel circolo Denaro-Denaro che consiste in una crescita illusoria della ricchezza che consente ai loro detentori di comprare “senza pagare” con i medesimi cespiti inflazionati dalla speculazione più beni e più lavoro di prima ai danni dei produttori (profitto più salario).

In borsa, del resto, esiste ormai una quantità incredibile di junk bond, titoli autoreferenti o rappresentanti di indici e dunque incorporanti solo una scommessa, al pari dei “derivati speculativi”, responsabili degli isterici alti e bassi delle quotazioni del petrolio come di altre 16 materie prime e di tantissimi titoli e valute alle cui quotazioni sono agganciati e le cui quotazioni spingono nella direzione impressa dal loro sbilancio, provocando coscientemente, ogni volta, altrettante “profezie che si autoavverano”. Si pensi che nel 2009, per ogni barile “fisico” di petrolio scambiato, ben 100.000 ne passavano di mano “virtualmente” con queste vendite “mimate” con i derivati speculativi sul petrolio e che a fronte di un PIL mondo di circa $ 50.000 Mld, la mole raggiunta da questi derivati ha toccato quota $ 1.000.000 Mld, mentre la Lehman bros. è fallita con un “buco” da “derivati perdenti” valutato intorno a $ 1.000 Mld (peraltro quasi solo verso le banche proprie “sorelle” consorziate nella Fed e detentrici di quegli stessi derivati che per loro erano ovviamente “vincenti”)! Una crisi “virtuale”, quella dei subprime, dovuta alla crisi dei derivati speculativi “perdenti” sulla iper-cartolarizzazione allo scoperto dei subprime e dei derivati “perdenti” sul petrolio, per contrastare la quale Fed e BCE hanno immesso Moneta “allo scoperto” per circa $ 1.000 Mld ed i governi di USA, Inghilterra e Germania hanno portato il proprio debito pubblico, rispettivamente, all’84%, nel giro di 18 mesi, ed al 100% ed al 102%, nel solo spazio di una notte, rispetto al PIL!

 


 

IL SISTEMA FISCALE

Una volta ribadito quanto già detto alla voce “debito pubblico” nella sezione “Il Pensiero unico in economia” e nelle precedenti voci di questa sezione, il tema va ora trattato insieme a quello della corruzione, della criminalità comune e della evasione fiscale.

Per quanto riguarda la corruzione, vale la pena segnalare come essa non sia affatto il semplice prodotto della cattiveria dell’uomo, onde per cui dovremmo solo imputare a noi stessi la sua esistenza, dividendoci tra giustizialisti e rassegnati. Essa è infatti da sempre uno dei pilastri fondamentali su cui poggia ogni potere di classe, in quanto consente di fidelizzare i funzionari pubblici senza doverli strapagare ufficialmente e rendendoli nel contempo ricattabili, organizzando altresì una piramide delle corruttele che consente di sviare la imparzialità amministrativa ufficialmente rivolta a garanzia dei deboli, a favore di chi più riesce a corrompere, ovvero a favore di chi possiede più risorse economiche e politiche. E’ per questo che in ogni società classista ritroviamo una piramide di corruzione apparentemente incoercibile!

E non è nemmeno un caso che anche la criminalità sia così diffusa e apparentemente ineliminabile. Essa svolge infatti un ruolo molteplice al servizio del potere classista, in quanto: 1)devia verso uno sfogo antisociale la parte più turbolenta degli inoccupati e dei sottoproletari, alleggerendo nel contempo la pressione che rischia di sfociare verso il ribellismo sociale; 2)devia verso la piramide del crimine potenziali capi-popolo, trasformando parte della possibile protesta sociale in protesta individuale e integrando nella piramide potenziali avanguardie di lotta. 3)sposta verso uno sterile e ingenuo giustizialismo l’opinione pubblica ignara del suo significato politico e sociale; 4)permette un efficace controllo del territorio che si spinge fino alla colletta di voti clientelari indirizzabili verso i politici corrotti che promettono di usare la mano leggera verso la criminalità; 5)crea progressivamente una economia sommersa nella quale lo sfruttamento di classe è criminale e non sindacalizzato.

Per quanto invece concerne il tema della evasione fiscale, vale qui la pena sottolineare la specificità del caso italiano, la cui pressione tributaria al netto della evasione è superiore di circa il 3% rispetto alla media europea, mentre al lordo la supera di ben 20 punti percentuali! Come dire che se domani tutti gli evasori si pentissero e versassero spontaneamente quanto nominalmente a loro carico, si dovrebbero immediatamente ridurre di almeno 1/3 le imposte! Perché allora va così da oltre 50 anni? Semplicemente per criminalizzare 5 milioni di italiani e fare crescere a dismisura il numero dei sorteggiabili per i controlli, formando nello stesso tempo un esercito di piccoli contribuenti pronti a solidarizzare con la grande evasione, l’unica che veramente beneficia di questo terribile meccanismo sia in termini di mancate verifiche che in termini di egemonia culturale!


 

IL DEBITO PUBBLICO

Alla Massa monetaria elettronica ed allo scoperto occorre pure aggiungere la gigantesca massa dei bot “collocati elettronicamente”: abitualmente, il 90-95% del totale dei bot restano infatti invenduti nelle aste e vengono “collocati elettronicamente” presso le banche, ovvero annotati elettronicamente presso le scritture delle banche collocatarie e scambiati con Moneta creditizia elettronica che, come abbiamo visto, è anch’essa virtuale e allo scoperto. Si tratta pertanto di un debito pubblico assolutamente elettronico, virtuale e allo scoperto che diventa perfino una semplice partita di giro nel momento in cui sono pubbliche le banche collocatarie, perche finiscono per coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche collocatarie).

Era così infatti nella prima repubblica, prima della loro criminale svendita bipartisan praticata a prezzi decine di volte inferiori … ai soli bot ivi collocati!

La natura prettamente “virtuale” del debito pubblico è importantissima anche perché consente di estendere ulteriormente l’efficacia del deficit spending, ben oltre i suoi tradizionali limiti.

Il deficit-spending consiste nell’accendere un debito pubblico aggiuntivo (poniamo, 100) e tradurlo in una pari spesa pubblica aggiuntiva (+100) sapendo che provocherà una espansione virtuosa del PIL che è multipla (circa 5 volte 100) rispetto all’indebitamento pubblico acceso per avviare il processo moltiplicatorio. Poiché, poi, il 40% circa del PIL va in tasse, questa espansione del PIL  provocherà un introito fiscale aggiuntivo pari al suo 40% circa, che consente di ripagare l’indebitamento aggiuntivo  ed espandere ulteriormente il sistema.

Un po’ più in dettaglio il meccanismo è questo: poiché come abbiamo già detto altrove il 4% circa del PIL viene normalmente speso per Investimenti produttivi, mentre il 20% viene Risparmiato, ne discende aritmeticamente che l’80% restante viene Consumato. Conseguentemente, ogni volta che in un certo ciclo si finanzia una spesa pubblica aggiuntiva pari ad esempio a 100, essa induce nel ciclo successivo una Domanda aggiuntiva pari al suo 84% e dell’84% di questo 84% in quello successivo ancora, e così via sino all’esaurimento del processo moltiplicatorio (chiamato “keynesiano” dal nome di J.M. Keynes che lo scoprì nel ’32 studiando la crisi di Wall street). Dalla formula delle progressioni geometriche a ragione negativa si ricava che l’importo complessivo dell’intero processo moltiplicatorio è pari al primo termine (100) moltiplicato per l’inverso della “ragione”, ovvero per l’inverso della percentuale che viene per qualsiasi motivo sottratta al processo stesso (cioè 1/16%= 6,25), ovvero 625! Computando dal maggior Reddito (625) la quota che torna allo stato come maggiori imposte (di media, nei vari paesi sviluppati, il 40% circa di 625, ovvero 250), vediamo che lo stato può così rimborsare il prestito contratto (100) più gli interessi su questo prestito (10-20) e gli restano per giunta consistenti risorse aggiuntive per effettuare altre spese pubbliche (130-140). Tuttavia, in ogni economia totalmente “aperta” verso l’esterno perchè il suo governo, in ossequio al P.U., ha optato per il regime della “deregulation valutaria”, parte degli effetti moltiplicatori andranno necessariamente a vantaggio delle imprese estere ed è per questo che, come si sente dire spesso, nessun paese vuole “fare da locomotiva”. Solo optando per un regime di controlli valutari sulle transazioni con l’estero del tipo di quelli vigenti per tutti i paesi preunitari fino agli anni ’80 è invece possibile contingentare le Importazioni per mantenerle allo stesso livello precedente l’adozione delle ricette espansive keynesiane e rendere l’Export-Import insensibile rispetto alla crescita della Domanda interna e dell’inflazione interna. E non basta: un secondo grosso limite all’operare del moltiplicatore keynesiano è dato dalla percentuale di Domanda che non si traduce in Offerta per via della politica tariffaria praticata dai trust che, quando aumenta la Domanda, preferiscono aumentare solo parzialmente l’Offerta per spuntare listini più alti e lucrare i così detti extraproftti da oligopolio: se, ad esempio, questo “strozzo” sottrae un altro 18% al processo moltiplicatorio riducendolo dall’84% al 66%, cala infatti la Domanda complessiva che viene generata ad ogni nuovo ciclo (100 x 1/34%=300 circa anziché 625) e le imposte aggiuntive passano da 250 (40% di 625) a 120 soltanto (40% di 300), spingendo il moltiplicatore keynesiano a ridosso del suo limite di utilizzabilità! A quel punto, solo il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust potrebbero ovviare al problema, oppure … il deficit-spending praticato con Moneta creditizio-finanziaria “allo scoperto” e contrattando con gli altri paesi il pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import o perseguendolo con la svalutazione progressiva del cambio della Moneta nazionale!

Oggi, con un debito pubblico complessivo intorno ai € 1.800 Mld, paghiamo ogni anno interessi per circa € 80 Mld l’anno e siamo al 118% sul PIL! E se siamo in compagnia di paesi oggi molto criticati quali la Grecia (115%), non dobbiamo dimenticare che oggi non stanno meglio di noi nemmeno paesi come gli USA(84%), Inghilterra e Germania (100% circa) o Giappone (200%).

Orbene, se volessimo rimborsare il nostro debito in, poniamo, 20 anni, ci servirebbero circa € 90 Mld per la sorte capitale, cui dovremmo aggiungere almeno altri € 40 Mld annui di interessi a scalare, per un totale di ben € 130 Mld l’anno! Oggi dunque, con finanziarie da € 20-30 Mld l’anno, stiamo solo rallentando … la velocità di aumento del nostro debito, non lo stiamo né bloccando né tanto meno contraendo, per cui ci stiamo solo prendendo in  giro! E dobbiamo pure considerare che, alla luce di quanto appena detto a proposito del deficit-spending, ogni volta che per operare un rimborso pratichiamo tagli della spesa pubblica o degli aggravi fiscali di pari ammontare, contraiamo corrispondentemente il mercato a disposizione delle nostre aziende, le quali saranno costrette a ridimensionare di conseguenza l’Offerta di beni e servizi,  contraendo allo stesso ritmo gli Investimenti produttivi e l’Occupazione. Così operando, però, queste imprese sottrarranno altro mercato alle imprese che sul mercato interno producono beni e servizi per le imprese e per i lavoratori, ed avvieranno un processo moltiplicatorio impansivo della base produttiva, della Occupazione e del Reddito, ovvero del PIL, il cui ammontare complessivo è pari a 3-5 volte la contrazione iniziale di Domanda che abbiamo provocato con i tagli e gli aggravi fiscali, aggravando il rapporto debito/PIL anziché ridurlo. L’unico rimborso ormai “possibile” è dunque quello che potremmo e dovremmo gravare sui soli ceti possidenti, quegli stessi che privilegiamo fiscalmente da oltre 60 anni. Il loro alto Reddito rende infatti questi ceti quasi esclusivamente Risparmiatori e non Consumatori, annullando gli effetti moltiplicatori recessivi che provoca invece ogni taglio o aggravio fiscale operato sulle fasce medio-basse di Reddito. Tuttavia, poiché i mercati finanziari rappresentano solo gli umori dei detentori di Capitali e delle multinazionali finanziarizzate, non mai quelli delle imprese mercantili, ovvero quelle produttive e  non-finanziarizzate, non gradirebbero affatto una simile opzione e la speculazione interna e internazionale, di fronte alle fughe di Capitali provocate da queste manovre “non gradite”, scommetterebbe agevolmente al ribasso in borsa e contro l’euro, provocando un doppio crack borsistico e valutario.

Queste sono le conseguenze inevitabili dell’altra scelta suicida operata a Maastricht in una orgia di pseudoliberismo, quella di lasciare le frontiere valutarie della UE, al pari delle sue borse, totalmente “aperte” a qualsiasi transazione mobiliare, incluse quelle esclusivamente speculative (è questa la così detta “deregulation”). Senza adeguati vincoli antispeculazione in borsa non è possibile per nessun paese contrastare la massa di speculazioni che è in grado di mettere in campo la speculazione internazionale, mentre  abbandonando le barriere valutarie anti-speculazione vigenti fino agli anni ’80 abbiamo reso impossibile ogni difesa centralizzata del cambio dell’euro, costringendoci  da soli ad adottare le sole scelte “gradite” ai mercati finanziari, pena il doppio crack borsistico-valutario!

Dal punto di vista storico, poi, va puntualizzato che il nostro debito pubblico non è affatto dovuto all’assistenzialismo clientelare ed alle corruttele della prima repubblica, come si lascia demagogicamente intendere per nascondere le responsabilità degli ambienti creditizio-finanziari: basta scorrere i dati del rapporto debito/PIL italiano dal ’72 all’81, ovvero quando ormai il sistema clientelare era stabilizzato da una ventina di anni, per cogliere come questo dato resta quasi invariato i questi anni, oscillando intorno al valore medio del 55%. E’ solo dall’81 che comincia a salire inesorabilmente al gradiente del 3-5% annuo, sino a raggiungere il 124% nel ’94 (oggi è, se i conti sono “veri”, intorno al 118%). Cosa accadde nel 1981? Che si decise di agganciare la lira allo SME (sistema monetario europeo) e poco dopo … di adeguare i più bassi tassi di interesse italiani ai più alti europei! Potenza della demagogia!

Ecco dunque che possiamo tirare le fila e concludere dicendo in sintesi come funziona in realtà l’economia, sia in tempi di pace che in tempi di guerra, all’insaputa di una opinione pubblica cui si racconta invece la favoletta edificante del Risparmio quale “motore” dell’economia e della “virtù finanziaria” quale criterio-guida degli stati previdenti: funziona con una Moneta creditizio-finanziaria che è “falsa”, nel momento in cui viene immessa nel circuito D-M-D per finanziare “allo scoperto” dei Consumi interni aggiuntivi pubblici e privati, e che diventa paradossalmente “vera”, man mano che vengono prodotti davvero i beni e servizi che ha così reso profittevole produrre!

Cambia tutto una volta compreso ciò. Vuol dire, infatti, che, per produrre ciò che serve per le infrastrutture pubbliche e per i Consumi pubblici e privati tipici dei dominati di una qualunque area a capitalismo maturo, al lordo della corruzione, basta circa la metà del monte-ore ordinariamente lavorate e degli Investimenti produttivi ordinariamente effettuati.

Aumentando questo monte-ore e questi Investimenti produttivi, è possibile soddisfare altri bisogni umani e potenziare la base produttiva, e ne avanza per ridurre corrispondentemente sia l’orario di lavoro che l’età pensionabile!

Ed eliminando la corruzione, questa disponibilità aumenta ancora un po’.

In una economia di mercato, però, perché sia profittevole produrre questi beni aggiuntivi non basta che ne esista il “bisogno”, ma occorre che questo bisogno, reale o fittizio che sia, si traduca in Domanda pagante. Perché un bisogno si traduca in una Domanda pagante, occorre un Reddito monetario, il quale, per la parte in cui non discende automaticamente dall’avvio del circolo virtuoso produttivo, necessita di essere finanziata dall’esterno con una Moneta aggiuntiva che venga accettata socialmente e che venga distribuita ai soggetti, pubblici e privati che siano, i quali spenderanno concretamente questa Moneta aggiuntiva, e il tutto deve avvenire in un modo che venga “accettato” socialmente, il che per la elite significa di nascosto e clientelarmente.

Poiché senza questa Moneta aggiuntiva il circolo D-M-D si inceppa e comincia a impandere al ritmo dettato dal gap di inizio-ciclo non colmato, o questa Moneta aggiuntiva viene immessa nel circolo in modo democratico, come ancora non è mai avvenuto, o viene immessa in modo non democratico, com’è avvenuto fino ad oggi o come potrebbe peggio ancora avvenire domani.

Si apre pertanto il dibattito politico non già sulla liceità della Moneta creditizio-cartolare “allo scoperto”, essendo scontato che essa è necessaria, agevole da creare ed arci-utilizzata da tempo, ma sulla sua proprietà, ovvero se debba essere privata o pubblica, e su quali e quanti Consumi debba finanziare, ovvero su cosa, quanto, come e per chi produrre!

E’ evidente che un simile dibattito vedrebbe un brutale spostamento a sinistra dell’asse politico della opinione pubblica, e, quindi, la fine di un mondo.

La elite creditizio-finanziaria oggi egemone non vuole assolutamente consentirlo ed il Pensiero Unico combatte al suo servizio al livello dello immaginario collettivo insieme alle mille altre sue alchimie e invenzioni di chirurgia sociale studiate per mantenere l’ignoranza e lo status quo.

Per avere una idea più precisa di quale programma potrebbe essere finalmente avanzato una volta rinnegato il P.U., v. adesso il programma esposto nella sezione “l’alternativa per una economia sostenibile”.