Print this page

E’ DI SINISTRA L’USCITA DALL’EURO? Featured

  • https://www.facebook.com/groups/136502669790482/

Stefano Fassina, esponente di spicco della sinistra Pd, e fortemente critico nei confronti di Renzi e soprattutto dell’abolizione dell’art. 18 e del suo divieto di licenziamenti ingiustificati di cui alla riforma del mercato del lavoro, e tra i candidati alla possibile scissione (anche se finora dallo stesso smentita), ha evidenziato in recenti interventi di non escludere una uscita dall’euro in mancanza di una effettiva ed incisiva riforma. L’opinione dominante, con in testa Antonio Polito su “Il Corriere della Sera” ma anche altri, su tutti gli organi di stampa e nelle sedi più autorevoli, ivi compresa addirittura “Repubblica”, hanno notato con grande soddisfazione che la sinistra Pd e in generale tutto l’orientamento che si sta opponendo da sinistra al “renzismo” sta assumendo posizioni di populismo: sinistra sia radicale sia riformista estranea alla logica centrista di Renzi, grillini, leghisti e radicali di destra verrebbero tutti ad assumere una posizione non rigorosa ma populista (in modo da rappresentare quel popolo genericamente e fieramente antieuropeista che manifesta rumorosamente a “La Gabbia”, felice programma televisivo su La7). Si tratta di polemica strumentale -in quanto dimentica tutti i contenuti che la sinistra riformista non moderata sta lanciando in opposizione alla liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro-, atta ad ingigantire un ragionamento più che altro di teoria economica e con valenza politica non immediata, ed invece stressata strumentalmente dai commentatori sopra citati. Ma la valenza politica, pur non preminente e non prevalente, non può essere trascurata: di fronte alla politica monocorde liberista di un’austerità fallimentare, che la Germania ci concede di allentare solo a fronte di riforme antisociali, la proposta politica che la sinistra riformista lancia, oltre alla doverosa tutela dei diritti, non riesce ad uscire dal populismo antipolitico e demagogico. L’uscita dall’euro ha senso solo in un’ottica neoprotezionista (quale quella che sta tentando di fondare su basi teoriche rigorose Emiliano Brancaccio, insigne –e molto apprezzato da chi scriveeconomista della sinistra radicale), ottica neoprotezionistica già in via generale velleitaria nell’epoca della globalizzazione e della “dematerializzazione”, che rendono i vincoli statali aggirabili ed inefficaci, ma che diventa impossibile per un Paese, quale l’Italia, debole in materie prime ed in capitali, quindi soggetto ai mercati internazionali, ed alle loro pressioni, o meglio -per essere sia precisi sia chiari- sotto ricatto delle grande banche d’affari che sono loro che dominano i mercati, “rectius” che sono loro i mercati. L’uscita dall’euro è un’elusione (anzi, “l’elusione” del problema), non la soluzione. L’euro dovrebbe rappresentare la moneta, e quindi l’espressione economica più evidente, di una nuova comunità politica e sociale in grado di contribuire a governare la globalizzazione e portare avanti una nuova effettiva democrazia. Qui l’Europa ha fallito e non è riuscita a governare la globalizzazione e i mercati finanziari. Le grandi banche, ivi compresa la Deutsche Bank, prima banca tedesca, hanno un’esposizione mostruosa in strumenti derivati (da recentissime notizie di giornale, sembra che la “Deutsche Bank” abbia deciso un’inversione di tendenza sui “CDS”, derivati di credito, per quanto riguarda i titoli del debito pubblico statale). L’Europa è succube della grande finanza americana ed incapace di esprimere o meglio di far esprimere alle proprie banche una politica finanziaria autonoma ed indipendente e di sostegno all’economia reale: la contrazione dei finanziamenti, ammessa addirittura nella consueta relazione annuale di Visco, Governatore di del 2013 (relativa all’anno precedente), non dipende solo dalla crisi della stessa economia reale, ma è frutto della politica finanziaria delle banche concentrata sulla speculazione più selvaggia. L’Europa non può essere tale se non rappresenta una forma di regolamentazione dei mercati finanziari e del grande capitale: per fare ciò occorre un’inversione di tendenza profonda rispetto alla situazione attuale. Occorre un’idea diversa ed opposta dell’Europa, e soprattutto una sua configurazione alternativa, vale a dire un’altra Europa: l’obiezione degli antieuropeisti è che l’altra Europa sia impossibile, con la conseguenza che diventa inevitabile l’uscita dall’Europa o comunque dall’euro che per un Paese come l’Italia, ben diverso dalla Gran Bretagna, null’altro è se non un’uscita surrettizia dalla stessa Europa. Il punto da mettere in evidenza è che il pessimismo antieuropeista, se espresso in tal modo e quindi su tale punto specifico, è del tutto infondato: ed infatti, il controllo della finanza e la salvaguardia della sua stabilità contro la speculazione selvaggia delle grandi banche d’affari sono assolutamente necessarie per l’Europa, che altrimenti va alla deriva senza tregua. L’Europa non è come l’America che con la sua potenza può (o poteva?) scaricare le conseguenze della propria instabilità sul mondo intero. Il ruolo dei settori illuminati del blocco dominante diventa fondamentale: si pensa soprattutto a Draghi, che con la sua lucidità ha compreso la necessità di una svolta in materia di controllo della finanza internazionale (da cui pur proviene) e di politica economica, ma che per la sua appartenenza di campo non può condurre a compimento la lucida strategia e quindi non può portare avanti una politica sociale e di tutela del lavoro e di programmazione economica pubblica. Ebbene, il controllo della finanza internazionale è impossibile senza una svolta radicale e completa in materia di politica economica, in quanto solo una politica economica sociale può far sparire il terreno su cui attecchisce il dominio della grande finanza internazionale. Ma il riferimento non è solo a Draghi, ma anche a tanti altri (il Governatore Visco, l’economista Savona, il Presidente Squinzi ed altri ancora): ma soprattutto, concentrandosi su Draghi, si intende mettere in evidenza che il ruolo delle banche centrali, per la salvaguardia della stabilità finanziaria, sono le custodi dell’identità europee e della necessità che a tale identità corrisponda una vera sostanza. Per la sinistra è una grande sfida, quella del dialogo necessario con le Autorità di vigilanza, sempre considerate come avversario (basti pensare al centro-sinistra ai tempi di Carli Governatore) o come entità di cui accettare supinamente il predominio (da Ciampi in poi). Un rapporto di collaborazione che non sia di sudditanza è al di fuori delle corde della sinistra: è ora di cambiare radicalmente.