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IL “MODELLO” DEL PENSIERO UNICO IN ECONOMIA

 

Il progetto di sviluppo che è stato perseguito bipartisan dai governi che si sono succeduti fino ad oggi alla guida della seconda repubblica in ossequio al Pensiero economico pseudo-liberista oggi egemone è in sintesi il seguente:

 

1) insistiti tagli della spesa pubblica improduttiva (specialmente sociale) consentirebbero di rimborsare corrispondentemente il debito pubblico, alleggerire il peso degli interessi su di esso e contrarre in prospettiva la pressione tributaria onde promuovere i Consumi interni e, di conserva, gli Investimenti, l’Occupazione e il Reddito. Il nostro debito pubblico, peraltro, sarebbe la grave eredità della prima repubblica e delle sue eccessive spese clientelari per assistenza e corruzione, ma dovremmo rimborsarlo comunque, senza però gravarlo sui detentori di Capitali mobili, sulla Rendita o sui patrimoni, ma solo sui lavoratori, sui pensionati, sugli utenti dei servizi sociali, sulle imprese e sui ceti medi;

 

2) la precarizzazione e la moderazione salariale, unite alla riduzione progressiva della pressione fiscale e della incidenza della corruzione sulla spesa pubblica, renderebbero più competitive le imprese nazionali sui mercati internazionali e lo stesso avverrebbe grazie all’euro “forte” che ci permetterebbe di acquistare più a buon mercato le nostre Importazioni “necessarie” quali le materie prime e l’energia;

 

3) queste stesse manovre, così come ogni trattamento di favore (anche fiscale) verso i detentori di Capitali, contribuirebbe pure a tenere bassa l’inflazione, il che accrescerebbe ulteriormente la competitività internazionale del made in Italy, mentre, insieme all’euro “forte”, attrarrebbe Capitali da tutto il mondo facendo conseguentemente crescere il nostro indice di borsa e calare il saggio di interesse, il che dovrebbe rendere meno costosi gli Investimenti, e quindi promuovere anche l’Occupazione e il Reddito.

 

4) in ogni caso, questo è ciò cui ci siamo impegnati a Maastricht, e, insieme, è ciò che ci chiedono concordemente di fare le autorità comunitarie, le agenzie internazionali di rating, gli esperti economici, i media e le forze politiche. E questo è anche ciò in cui crederebbero tutti gli italiani “con la testa sulle spalle”.

 

Come non insistere, dunque, nell’adozione di queste ricette pur se i risultati tardano a farsi vedere? Eppure queste ricette pseudoliberiste non sembrano avere per niente sortito i benefici effetti promessi per la nostra economia, in quanto la contrazione deflattiva del mercato interno non è stata compensata da un miglioramento del saldo Export-Import, anche a causa di euro troppo “forte” e dunque non “vero”.

Conseguentemente, insieme alla precarizzazione è aumentata la disoccupazione e sono andate in progressiva decozione sia le imprese mercantili che operano sul mercato interno sia quelle che, come nel nordest, operano sul mercato internazionale. Contraendosi la ricchezza nazionale, sono andati in crisi anche le libere professioni e i ceti mercantili, e, in definitiva, i ceti medi, i primi a crescere quando una economia si espande e i primi a soffrire quando l’economia si contrae.

E mentre calava il PIL “reale” per via degli effetti recessivi delle manovre deflattive, calavano pure le entrate tributarie, poiché le imposte si pagano in proporzione al Reddito e, calando il Reddito, calano necessariamente anche le imposte. Più precisamente, le entrate tributarie sono calate in Europa in ragione di circa il 40-45% della contrazione recessiva del PIL, con la conseguenza che i rimborsi del debito che sono stati così operati sono stati un sottomultiplo del calo di PIL da essi provocati, e, in Italia, non sono nemmeno  riusciti a pareggiare gli interessi passivi sul debito pregresso.

Calando il denominatore del rapporto debito/PIL più del suo numeratore, del resto, il rapporto debito/PIL non può che peggiorare nel tempo invece di migliorare a misura che per operare rimborsi si praticano tagli deflattivi e inasprimenti fiscali sui ceti Consumatori anziché sui ceti Risparmiatori e sui patrimoni!

In tal modo, di fronte all’impoverimento generalizzato del 99% delle popolazioni, gli unici ambienti che si sono avvantaggiati di queste scelte economiche sono stati solo gli ambienti creditizio-finanziari e i ceti possidenti, la cui ricchezza vale sempre di più quanto più vanno in sofferenza i ceti mercantili ed ancor più cresce oggi grazie a scelte e contesti esclusivamente “graditi” ai detentori di Capitali, pur se recessivi.

Che fare, dunque,  nel momento in cui gli “esperti” insistono nel sostenere la correttezza di queste ricette ma diventa invece sempre più evidente che così non potrà mai esserci nessuna inversione di tendenza