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Nel capitalismo esistono due circuiti economici che restano in parte distinti tra loro:

 

1)da un lato, esiste il circuito mercantile, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro solo applicando contemporaneamente la fatica e l’intelligenza umane alla trasformazione fisica della natura onde produrre “merci” da vendere con profitto sul mercato. In esso, infatti, il Profitto per essere percepito necessita la previa produzione di merci per il mercato, aumentando inevitabilmente anche la ricchezza “reale” della società;

 

2)dall’altro lato, esiste il circuito finanziario, il così detto “circolo Denaro-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro senza alcuna creazione di “merce”, ma solo con la speculazione.

 

Solo nel primo circuito ci si arricchisce dunque creando nel contempo ricchezza “reale” di cui pure gli altri usufruiscono, se pure nelle forme e quantità determinate dal sistema distributivo, giusto o ingiusto che esso sia.

 

Nel secondo circuito, invece, non avviene nessuna creazione di nuova ricchezza, ma aumenta solo la capacità di prelievo della ricchezza “fisica” prodotta da chi opera nel primo circuito da parte di chi possiede cespiti mobiliari e immobiliari ed opera nel secondo circuito.

 

Anziché gioire da beoti dell’aumento dell’indice di borsa, dunque, dovremmo semmai rattristarcene e chiederci pure, da un lato, quali rischi comporta la instabilità dei mercati finanziari non regolamentati, e, finalmente, dall’altro, chiederci quale sia in definitiva l’architettura creditizio-finanziaria che serve al capitalismo e quale  invece il capitalismo che serve all’attuale architettura creditizio-fianziaria!

 

A questo punto va registrato il notevole ed endemico squilibrio che esiste oggi in tutti i paesi sviluppati tra i Risparmi che residuano alla fine di ogni ciclo D-M-D, che sono pari ogni anno al 20% circa del PIL, e gli Investimenti produttivi che si effettuano nel ciclo successivo, pari ad appena il 3-5% del PIL.  Altro che “fame” endemica di Capitali, dunque, essendoci semmai il loro esubero endemico, in quanto già solo i Risparmi sono circa 5 volte quanto serve ai fini produttivi! Non ha dunque alcuna giustificazione economica la iper-remunerazione dei Redditi da Capitale e la loro tassazione privilegiata, così come quella dei patrimoni, e, ancora, non ha alcun senso tecnico fare “sacrifici” per aumentarne la dotazione e poi vederli rivolgere  verso gli impieghi speculativi anzichè verso quelli produttivi. Esiste anzi un “gap” di Domanda effettiva all’inizio di ogni nuovo ciclo che è pari a circa 1/6 del PIL (sistematicamente quanto incredibilmente ignorato da scienza, media e politici) e che necessita di essere colmato con una componente di Domanda effettiva che sia autonoma dal sistema distributivo e senza la quale si avvia una impansione progressiva dell’intero sistema che viaggia al tasso determinato dal differenziale di Domanda non colmato.

 

Per comprendere come ciò avvenga, occorre però esaminare prima le voci “Moneta”, “Credito”, “Borsa” e “debito pubblico”.