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Io sono giunto alla conclusione che tutto ciò che di economia mi hanno insegnato alla università gli esperti della materia si è rivelato totalmente falso!

(F.D.Roosvelt a sir Halifax, il 10.08.1941, durante l’Atlantic round)

Nando Ioppolo Blog

LE PRINCIPALI TESI LIBERISTE SONO ERRATE

1)Non è pensabile un sistema-mondo nel quale alcuni paesi esportano sempre più di quanto importano e viceversa, ma solo sull’equilibrio tendenziale del reciproco export-import.

2)Volere esportare più di quanto si importa vuol dire pretendere di esportare nei paesi “fratelli”, insieme ai propri beni e servizi, anche tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne comporta la mancata produzione nazionale che si va a soppiantare con queste esportazioni.

3)il cambio della moneta non deve essere né “forte” né “debole”, ma semplicemente “vero”, ossia in linea con i propri “fondamentali”, concordando la periodica svalutazione delle valute delle aree a maggiore inflazione in misura pari all’eventuale differenziale di inflazione rispetto alle altre aree valutarie.

4)Lo sviluppo di ogni economia va poggiato sul proprio mercato interno in regime di pareggio tendenziale dell’export-import e cambi concordati.

5)Nessuno investe o assume di più solo perché costa di meno farlo se nel contempo non aumentano gli sbocchi di mercato, poiché non sarebbe profittevolmente collocabile quella maggiore produzione che si andasse a conseguire con quei pur meno cari investimenti e occupati aggiuntivi.

6)Se la domanda interna al saldo dell’export-import resta invariata, non serve a nulla favorire le imprese che assumono donne, giovani o al sud, perché non faranno altro che licenziare corrispondente gli uomini, i non giovani e al nord.

7)tagliare retribuzioni e welfare per conseguire una maggiore competitività (in realtà solo “stracciona” perché conseguita sul fronte dei costi e non della qualità del prodotto) funziona necessariamente come un boomerang perché comprime il mercato interno senza potere realisticamente contrastare la concorrenza “sleale” delle imprese delocalizzate in aree dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo (che andrebbero invece gravate di adeguati dazi compensativi da welfare ed ecologia) ed ha dunque la stessa logica demenziale di segare il ramo su cui si è seduti!

8)Per sostenere investimenti e occupazione occorre espandere la domanda interna stornando risorse dai risparmi inutilmente tesaurizzati verso i consumi privati e pubblici con: una riforma fiscale progressiva e patrimoniale, il calmiere sui canoni della grande proprietà immobiliare, sugli interessi bancari, sui premi assicurativi e sulle tariffe telefoniche, un politica retributiva meno sperequata e altro deficit-spending.

9)Il nostro debito pubblico (circa 2.000 mld, -ndr: oggi fine 1 semestre 2016, oltre 2.300mld) viene da una politica di alti tassi sui btp, di detassazione dei ceti possidenti, dalla tolleranza suicida verso la evasione, la elusione fiscale e i paradisi fiscali.

10)Gli “sprechi” della casta politico-amministrativa pesano sui 25-50 mld annui, laddove gli interessi sui btp quasi 90 mld, almeno 100 l’evasione fiscale e altri 150 la elusione fiscale e i trasferimenti verso i paradisi fiscali.

11)Lo spread si giustifica ufficialmente come sconto per consentire agli acquirenti di btp di assicurarsi contro il nostro default acquistando dei Credit Default Swap, ma, essendo in realtà impossibile il fallimento di uno stato sovrano, nessuno compra CDS a copertura di btp, intascando la differenza a nostro danno, speculando per giunta sul nostro spread per fare crescere questo sconto.

12)E’ folle fare sacrifici popolari pesantemente recessivi per fare calare lo spread, quando ogni 100 punti (ossia 1%) di spread pesano 20 mld l’anno solo “a regime”, mentre, dato che ogni anno di btp ne scade solo la decima parte circa, la contrazione dello spread da 500 a 300 punti ha fatto risparmiare appena 4 mld su base annua a fronte di 40 mld di sacrifici pesantemente recessivi.

13)Dopo un anno di sacrifici popolari inflitti da Monti, il nostro PIL è calato recessivamente di oltre il 3%, facendo calare corrispondentemente le nostre entrate tributarie e quindi facendo aumentare ulteriormente il nostro indebitamento pubblico (+2% circa), per cui il nostro rapporto debito/PIL, anziché migliorare, è passato dal 120% al 130%.

14)E’ assurdo regalare 90 mld l’anno per insistere a collocare tra il 5,00% (oggi) e il 7,00% (l’anno scorso) i nostri btp sui mercati finanziari internazionali, notoriamente speculativi, anziché risparmiarne oltre 70 collocandoli allo 0,75% (il tasso praticato dalla BCE) presso banche pubbliche (com’è consentito dal trattato di Lisbona), presso la BdI o anche “alla giapponese”, ossia forzosamente presso le banche commerciali che intendono operare in Italia. Ma non è assurdo per chi intasca questi interessi maggiorati!

15)Nel giro di 25 anni, le ricette liberiste hanno consentito all’1% più ricco di triplicare la propria ricchezza mentre si dimezzava quella del restante 99%, e, al suo interno, si riduceva di 2/3 quella del 50% più povero. Non è questo sufficiente per cogliere la vera natura del pensiero liberista?

16)Al fine di fare aumentare la dimensione della “fetta” che va ai ceti possidenti si contrae il diametro della “torta” comune da dividere usando la deflazione recessiva e regressiva come mezzo e la deregulation borsistico-valutaria come “alibi”!

17)Monti, ebbro di liberismo, promette impossibili quadrature di bilancio e fantasiose riprese economiche praticando anche in appresso le stesse ricette recessive, come quel pompiere che crede che gli incendi si spengono con la benzina, e, di fronte al divampare delle fiamme, si rammarica di non avere usato abbastanza benzina!

18)Le ricette liberiste “dello sviluppo”, purtroppo, sono le stesse ricette recessive e regressive del “risanamento”, in quanto si basano sulla iper-remunerazione e detassazione dei ceti possidenti, con contemporanea contrazione indefinita di retribuzioni e welfare, aumento del tempo effettivo di lavoro a parità di retribuzione e precarizzazione.

19)I liberisti credono erroneamente che bisogna comprimere retribuzioni e welfare e precarizzare di più per tenere bassa l’inflazione e acquisire una sempre maggiore competitività (“stracciona”, perché conseguita sul fronte dei costi e non della qualità del prodotto), che però rincara troppo l’euro e non è comunque in grado di battere la concorrenza “sleale” delle imprese delocalizzate, aggravando inutilmente i conti pubblici e ridistribuendo in modo sempre più regressivo un PIL in continua contrazione recessiva, nel solo interesse dei ceti possidenti.

20)Investimenti, occupazione e PIL non dipendono dai risparmi disponibili e meno che mai ce n’è una tale carenza endemica che bisogna fare sacrifici inenarrabili per attrarne dall’esterno quanti più è possibile detassando i ceti possidenti e perseguendo con la deflazione recessiva la più bassa inflazione possibile e il cambio “forte”.

21)Dati ISTAT alla mano, mentre i risparmi che residuano ogni anno una volta distribuito socialmente l’equivalente monetario che viene ricavato dalla vendita di quanto è stato prodotto sono il 20% circa del PIL, ammontano ad appena il 5% circa del PIL gli investimenti produttivi che vengono effettuati per produrre l’offerta che soddisfa la domanda per consumi restante (80%) al saldo dell’export-import. Altro che “fame” endemica di capitali, dunque!

22)I risparmi disponibili sono circa 4 volte debordanti le necessità produttive, mentre le banche creano elettronicamente dal nulla, grazie alla “riserva frazionaria”, una moneta creditizia decine di volte maggiore rispetto agli assets bancari.

23)L’inflazione dipende dallo “strozzo” della offerta che viene praticato sistematicamente dei trust sulla base dei responsi del marketing per fare salire il prezzo di equilibrio sino al più alto valore che consente loro gli extraprofitti “da oligopolio”, per cui non si contrasta comprimendo la domanda interna (deflazione) ma con il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust.

24)Dire che la scala mobile è “fattore” di inflazione è come dire che sia l’apertura degli ombrelli la vera causa della pioggia!

25)L’euro “forte” è un boomerang perché se anche favorisce le nostre importazioni necessarie, favorisce anche quelle non necessarie penalizzando nel contempo tutte le nostre esportazioni.

26)La deregulation borsistica e valutaria ci fa rischiare inutilmente il crack sistemico costringendoci per giunta a sistematiche scelte deflattivo-recessive quale unico modo per contenere la speculazione.

27)Dalla crisi si esce solo rinnegando il liberismo e abbandonando la deflazione recessiva e regressiva in regime di deregulation borsistico-valutaria ed euro “forte”.

28)Occorre diffondere la critica al liberismo e unire tatticamente l’intero mondo del lavoro intorno al sostegno keynesiano della domanda interna in regime di inflazione “controllata”, vincoli borsistico-valutari anti-speculazione ed euro “vero”.

29)Le ricette post-keynesiane possono essere applicate a livello UE, se si riesce a fare convergere su di esse tutti i popoli preunitari, o, in alternativa, dai soli paesi secessionari, plausibilmente i PIIGS più la Francia, che farebbero così nascere l’Europa “a due velocità”, lasciando l’euro “forte” ai paesi del nord e a quelli che comunque volessero insistere nelle attuali suicide politiche liberiste, recessive e regressive, o, in ulteriore subordine, dai singoli paesi secessionari.

30)Uscendo dall’euro, se anche la nuova lira quotasse il 30% in meno, poiché materie prime ed energia pesano circa il 10% sui prezzi finali, il nostro export-import ne ricaverebbe comunque un vantaggio del 27% circa.

Circolo Denaro Merce Denaro e Denaro Denaro davvero!

Nel capitalismo esistono due circuiti economici che restano in parte distinti tra loro:

 

1)da un lato, esiste il circuito mercantile, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro solo applicando contemporaneamente la fatica e l’intelligenza umane alla trasformazione fisica della natura onde produrre “merci” da vendere con profitto sul mercato. In esso, infatti, il Profitto per essere percepito necessita la previa produzione di merci per il mercato, aumentando inevitabilmente anche la ricchezza “reale” della società;

 

2)dall’altro lato, esiste il circuito finanziario, il così detto “circolo Denaro-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro senza alcuna creazione di “merce”, ma solo con la speculazione.

 

Solo nel primo circuito ci si arricchisce dunque creando nel contempo ricchezza “reale” di cui pure gli altri usufruiscono, se pure nelle forme e quantità determinate dal sistema distributivo, giusto o ingiusto che esso sia.

 

Nel secondo circuito, invece, non avviene nessuna creazione di nuova ricchezza, ma aumenta solo la capacità di prelievo della ricchezza “fisica” prodotta da chi opera nel primo circuito da parte di chi possiede cespiti mobiliari e immobiliari ed opera nel secondo circuito.

 

Anziché gioire da beoti dell’aumento dell’indice di borsa, dunque, dovremmo semmai rattristarcene e chiederci pure, da un lato, quali rischi comporta la instabilità dei mercati finanziari non regolamentati, e, finalmente, dall’altro, chiederci quale sia in definitiva l’architettura creditizio-finanziaria che serve al capitalismo e quale  invece il capitalismo che serve all’attuale architettura creditizio-fianziaria!

 

A questo punto va registrato il notevole ed endemico squilibrio che esiste oggi in tutti i paesi sviluppati tra i Risparmi che residuano alla fine di ogni ciclo D-M-D, che sono pari ogni anno al 20% circa del PIL, e gli Investimenti produttivi che si effettuano nel ciclo successivo, pari ad appena il 3-5% del PIL.  Altro che “fame” endemica di Capitali, dunque, essendoci semmai il loro esubero endemico, in quanto già solo i Risparmi sono circa 5 volte quanto serve ai fini produttivi! Non ha dunque alcuna giustificazione economica la iper-remunerazione dei Redditi da Capitale e la loro tassazione privilegiata, così come quella dei patrimoni, e, ancora, non ha alcun senso tecnico fare “sacrifici” per aumentarne la dotazione e poi vederli rivolgere  verso gli impieghi speculativi anzichè verso quelli produttivi. Esiste anzi un “gap” di Domanda effettiva all’inizio di ogni nuovo ciclo che è pari a circa 1/6 del PIL (sistematicamente quanto incredibilmente ignorato da scienza, media e politici) e che necessita di essere colmato con una componente di Domanda effettiva che sia autonoma dal sistema distributivo e senza la quale si avvia una impansione progressiva dell’intero sistema che viaggia al tasso determinato dal differenziale di Domanda non colmato.

 

Per comprendere come ciò avvenga, occorre però esaminare prima le voci “Moneta”, “Credito”, “Borsa” e “debito pubblico”.


GLI INVESTIMENTI

 

Una volta compresa la circolarità dei sistemi mercantili si comprende perfettamente come Investimenti e Occupazione siano funzione diretta della Offerta che si va a produrre, la quale a sua volta è funzione diretta della Domanda che rende profittevole produrla. Quando la Domanda sale, dunque, aumentano sia gli Investimenti che l’occupazione anche se nel contempo è diventato più caro Investire ed Occupare, mentre, quando la Domanda cala, anche se è diventato nel frattempo meno caro Investire e Occupare, essendo diminuiti gli sbocchi produttivi per la Offerta che si andasse a produrre con quei pur meno cari Investimenti e Occupati, alle imprese non  converrebbe Investire e Occupare di più poiché si ritroverebbero con un invenduto o con prezzi meno remunerativi, per cui non Investirebbero né Occuperebbero di più nemmeno se gli venissero regalati i Capitali con cui farlo, ma semmai li … tesaurizzerebbero o li rivolgerebbero alla speculazione nel circuito Denaro-Denaro!

 

Non ha dunque nessun fondamento scientifico l’idea diffusa dal P.U. per cui contraendo le retribuzioni le imprese Occuperebbero più lavoratori o contraendo il saggio di interesse farebbero più Investimenti produttivi a credito. Per gli effetti di una simile contrazione sulle imprese che Esportano, vedi appresso la voce “Export-Imnport”.


 

EXPORT - IMPORT

 

 

Poiché il costo del lavoro incide per il 5-10% appena sui costi totali (a fronte , oltretutto, di una incidenza degli oneri finanziari che sfiora il 50% nelle imprese medio-piccole), nemmeno se i nostri lavoratori lavorassero gratis potremmo battere la concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove hanno costi bassissimi per la sicurezza, il welfare e le imposte. Ignorarlo è semplicemente criminale e ha una funzione esclusivamente ideologica e di copertura rispetto alla deflazione recessiva che in realtà si vuole perseguire e che così passa sotto le specie del perseguimento di una crescente competitività (oltretutto stracciona).

 

Per i paesi sviluppati, dunque, nessuna contrazione della Domanda interna così conseguita può essere compensata dal miglioramento del saldo Export-Import e contribuisce soltanto alla alimentazione della recessione internazionale.

 

Lo stesso discorso va fatto per le delocalizzazioni, in quanto la perdita del monte salari e dell’indotto provocato, poniamo, a Detroit dallo smantellamento in loco del comparto auto per la sua delocalizzazione in oriente, comporta una contrazione della Domanda internazionale che è un sottomultiplo della Domanda internazionale che si crea in oriente per effetto della delocalizzazione, risolvendosi in una perdita secca per il pianeta. Si aggiunga che lo sfruttamento umano ed ecologico che viene praticato nelle regioni in cui si delocalizza è estremamente maggiore di quello che si praticava nelle zone che hanno subito la delocalizzazione e basta una qualsiasi immagine dal satellite per darne la dimensione ottica immediata. Il P.U. utilizza a giustificazione due argomenti capziosi e infondati: 1)che si realizza così un opera umanitaria in quanto vengono a soffrire aree “ricche” e si allevia la sofferenza in quelle “povere”; 2)che il processo di globalizzazione è inarrestabile e insieme provvido per il pianeta nel suo complesso. La falsità e la capziosità di simili ipocrite affermazioni risiedono nella circostanza che esistono validissime alternative alle delocalizzazioni selvagge al sud per la riesportazione al nord dell’Offerta così prodotta e che non esiste una sola globalizzazione, quella che piace ai trust e che vuole portare i livelli di civiltà del nord ai più bassi livelli del sud. Esiste infatti anche una globalizzazione che opera all’incontrario, ovvero spingendo verso l’alto al sud i livelli di civiltà ivi presenti, facendo trainare lo sviluppo da una Domanda locale per Consumi popolari pubblici e privati ivi finanziata (v. appresso) con la Moneta “virtuale” del nord e tenendo conto delle situazioni e degli equilibri locali onde conseguire uno sviluppo armonioso e rispettoso delle resistenze tradizionali indigene.

 

Va infine tenuto conto anche delle potenzialità belliche di una impostazione per cui è solo Esportando a danno delle economie terze che si può espandere la propria economia. Come vedremo meglio nella sezione dedicata alla Moneta e al debito pubblico, è possibile e insieme doveroso fondare la espansione interna ad ogni paese sulla promozione della sua Domanda per Consumi popolari pubblici e privati finanziata con la Moneta “virtuale”, previa la sua sottrazione al controllo della elite creditizio-finanziaria che comanda il mondo e la sua sottoposizione al controllo democratico.

 

Una volta compreso che il commercio internazionale va impostato sul pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import, si comprende anche la necessità di una nuova Bretton Woods, per la cui analisi si rimanda alle voci “Moneta”, “Credito” e “Borsa”.


 

L'INFLAZIONE

A proposito della inflazione va subito chiarito che non si tratta affatto di un fenomeno spontaneo e quasi automatico, come vorrebbe invece lasciar credere il P.U. svolgendo le sue analisi in un ipotetico mercato di concorrenza perfetta che non esiste ormai da secoli e che mai tornerà ad esistere.

 

Noi oggi viviamo nell’oligo-monopolio, ovvero in una realtà dominata dai trust e dai loro accordi di cartello in quasi ogni settore merceologico, mentre le imprese esterne rispetto ai trust vivono il prezzi fissati in cartello come delle realtà di fatto “date” e su cui non possono influire e meno che mai possono farlo vendendo a prezzi più bassi, stante la ridottissima quota di mercato da loro copribile.

 

I trust, a loro volta, fissano di regola i listini all’ingrosso in funzione dei responsi del marketing limitando l’Offerta a quei più bassi livelli ai quali possono trasferire sui prezzi tanta tensione esercitata dalla quota di Domanda così da loro lasciata scientificamente insoddisfatta da lucrare il massimo profitto percentuale rispetto ai Capitali da loro Investiti (così detti “extra-profitti da oligopolio”), mentre con la pubblicità tentano di fare accettare dai compratori prezzi sempre più alti “pompando” ulteriormente così i loro extraprofitti.

 

E’ la stesa logica della distruzione periodica di arance e pomodori, solo che non-produrre qualcosa è molto meno “visibile” di distruggere parte di ciò che la natura e non l’uomo ha creato, essendo possibile coglierlo solo con l’occhio della mente, e si verifica in questi casi una “inflazione da oligopolio”, accanto alla quale esistono pure, dunque, una disoccupazione da oligopolio e un sottosviluppo da oligopolio!

 

Orbene, da queste acquisizioni discende pure che è per questo che le fasi espansive sono necessariamente anche (e non solo) inflattive, ma discende che lo sono non a causa della Domanda, bensì a causa delle politiche tariffarie dei trust, le quali sono dunque  contrastabili (e vanno contrastate) solo con il calmiere all’ingrosso e l’antitrust!

 

Che dire allora della “stagflation”, ovvero della inflazione a una cifra che stranamente accompagna fasi recessive, come accade nella UE da almeno 15 anni? A rigore si tratterebbe di un fenomeno tecnicamente impossibile, visto che quando la Domanda cala il marketing segnala di quanto contrarre Offerta e prezzi per continuare a conseguire il massimo profitto percentuale nelle mutate peggiori condizioni. L’arcano si spiega infatti con la scelta dei trust di contrarre ogni volta volontariamente l’Offerta più ancora rispetto alla contrazione della Domanda che si sta registrando sul mercato al preciso fine di mantenere e regolare il tasso di inflazione preferito pure nelle fasi recessive. Per comprendere il perché di un simile comportamento bisogna considerare:

 

1)che i trust sono anche fortemente finanziarizzati essi stessi e per giunta integrati in un unico “club” con le grosse banche loro “sorelle” da cui ricevono Moneta creditizia senza limiti ed a costo effettivo intergruppo pari a zero. In una logica di gruppo, dunque, il prodotto sociale di cui non riescono ad appropriarsi in conseguenza della porzione di extraprofitti che va così perduta, viene più che compensata dal maggiore signoraggio cartolare (v. appresso la voce “il Credito”) consentito dal contesto deflattivo-recessivo che creano con la stagflation e con la omertosa complicità delle compagini di governo che insistono poi a contrastare sempre e comunque con la deflazione (recessiva) anziché con il calmiere all’ingrosso e l’antitrust la pur bassa inflazione che i trust provocano ed alimentano volontariamente;

 

2)che un contesto di inflazione strisciante mista a recessione e nel quale oltretutto retribuzioni e pensioni non recuperano con aumenti nominali tutto il terreno perduto con l’inflazione, gli equilibri politici si spostano gradualmente a vantaggio dei trust finanziarizzati sia nei rapporti con le maestranze organizzate, sia nei confronti delle imprese esterne rispetto ai trust, di cui possono rastrellare sempre più facilmente ed a prezzi da fallimento i pacchetti di controllo a misura che la recessione le manda in decozione;

 

3) che la deflazione recessiva prolungata distrugge progressivamente anche il tessuto democratico vincolando alla elite creditizio-finanziaria politici e media, che sono sempre più ricattabili quanto più si impoverisce il paese.

 

Aggiungiamo poi che l’inflazione è stata sottostimata ufficialmente da oltre 15 anni di almeno 3 punti percentuali ogni anno, con la conseguenza che le retribuzioni e le pensioni nominali sono state reintegrate solo nella minore misura dell’inflazione rilevata ufficialmente, provocandone la erosione nascosta al ritmo del 3% composto annuo, il che ne ha comportato la contrazione in termini “reali” di oltre il loro 60%, portando anche alla corrispondente sovrastima ufficiale del nostro PIL “reale” ed all’occultamento della recessione in atto. E poiché la spesa pubblica nominale è stata maggiorata anch’essa ogni anno della stessa percentuale, anche la Domanda pubblica a disposizione delle nostre imprese sul mercato nazionale si è contratta della stessa misura in cui si sono contratti i Consumi privati, provocando così la corrispondente contrazione degli Investimenti produttivi ed una contrazione degli ammortamenti ancora maggiore, nonché la espulsione crescente di mano d’opera dal mercato del lavoro e l’aumento della precarizzazione e del lavoro “nero”, mandando in progressiva decozione le nostre imprese, messe in difficoltà crescente sui mercati internazionali da un euro che intanto si rafforzava sempre di più. E’ più chiaro, adesso, il quadro delle complicità politiche, sociali, scientifiche e mediatiche richiesto dal protrarsi della stagflation?


 

IL CAMBIO

L’euro “forte” serve solo ai detentori di Capitali, agli speculatori ed a chi intende delocalizzarsi, mentre servono loro anche gli strumenti che vengono utilizzati per renderlo “forte”, in quanto consistono in continui tagli deflattivi dei Consumi popolari interni pubblici e privati ed in insistiti e reiterati privilegi remunerativi, legislativi e fiscali concessi ai ceti possidenti. Per l’Export-Import è invece un boomerang, in quanto rincara i prezzi all’estero di tutte le nostre Esportazioni e rende meno care in Italia tutte le Importazioni, non solo quelle “necessarie”. In sintesi, dunque, la deflazione recessiva con euro “forte” dovrebbe piacere solo alla Rendita ed ai trust finanziarizzati, mentre all’intero mondo del lavoro (lavoratori e imprese medio-piccole)  dovrebbe piacere la espansione inflattiva e l’euro “debole”. Se scienza, media e politici di ogni orientamento non chiariscono i reali termini di questo scontro di classe è perché “ci fanno” o “ci sono”, mentre solo i non esperti sono giustificati, pur se bisogna ammettere che meno economia si studia e meglio è se questa economia è quella del P.U!

 

In entrambi i casi, però, è assolutamente certo che non resta che darsi nuove rappresentanze politiche e maturare un nuovo senso della democrazia e del controllo democratico dei media. Tanto più ciò è vero quando si considera che a fronte di inflazioni interne diverse la competitività relativa delle varie imprese nazionali può essere agevolmente perseguita svalutando periodicamente la Moneta del paese che registra la più alta inflazione (perché si espande maggiormente e/o non riesce a contrastare efficacemente l’inflazione con calmiere e antitrust) rispetto a quella del paese a più bassa inflazione, di una percentuale … uguale al loro differenziale di inflazione! Non se ne parla, ancora una volta, solo perché è una opzione che presuppone logicamente l’abbandono della deregulation valutaria e borsistica e perchè avvalora scientificamente la possibilità di fondare la espansione sullo sviluppo dei Consumi popolari interni pubblici e privati e smentisce la tesi pseudo-liberista che è il Risparmio il “motore” della economia mentre la Domanda interna è un solo un freno, e pure pericoloso, spostando brutalmente a sinistra l’asse del dibattito politico-economico.


 

LA MONETA

Questo è l’argomento su cui maggiormente il P.U. tiene a depistare i critici. Dopo avere sviato l’attenzione dalla “circolarità” del sistema mercantile e sostenuto che l’espansione va perseguita con il modello “bassi salari + Esportazioni”, il P.U. teme che si diffonda una idea della Moneta che metta in crisi la conservazione dell’attuale architettura creditizio-finanziaria e del sistema di privilegi ad essa connessa. Troppi però sono gli scheletri nel suo armadio e la prima cosa da sapere è che la maggior parte della Moneta circolante è privata, almeno per quanto concerne tutti i dollari e gli euro in circolazione, in quanto creati dal nulla e quindi incredibilmente venduti agli stati dalla privatissima Fed (consorzio costituito nel 1913 tra le più grosse banche private USA) e della BCE spa (costituita dalle varie banche centrali europee private, pubbliche  e miste)  al loro prezzo nominale anziché al loro costo di tipografia (signoraggio primario)!


 

IL CREDITO

La prima cosa da sapere (e che stranamente non è notoria a dispetto della sua assoluta intuibilità) è che gli oneri finanziari sono un consistente costo che grava sulla produzione frenandola, e, insieme, costituiscono un trasferimento di ricchezza che opera verso la Rendita creditizio-finanziaria: 1)dal Profitto, direttamente come voce di costo, e 2)dall’intera società civile, indirettamente, come quota aggiuntiva traslata sui prezzi di vendita.

 

In buona sostanza, più costa il denaro e meno saremo ricchi tutti gli altri, acquisizione dalla quale dovrebbe discendere la ovvia conseguenza che sarebbe auspicabile non la remunerazione del denaro in quanto tale (e meno che mai la sua iper-remunerazione) ma la sua progressiva erosione nel tempo ove non utilizzato nel circuito produttivo, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, un po’ come il ghiaccio, che se non lo si usa pian piano si squaglia. Ciò ovviamente non piace ai tradizionali ceti possidenti e all’intero sistema creditizio-finanziario, che oppongono mille barriere a una simile prospettiva, barriere che sono innanzitutto pseudoscientifiche, ovvero ideologiche, e che poi sono comunque politiche e, se necessario, militari.

 

La seconda cosa da sapere, è che il saggio di interesse, che è il prezzo del denaro, non si forma in un mercato concorrenziale, ma viene deciso centralmente da chi ha il controllo oligopolistico dell’Offerta di denaro: la banca centrale, la quale di solito è la espressione associata della volontà delle più grosse banche nazionali e/o internazionali (sic!). Se il prezzo del denaro si formasse in un mercato concorrenziale (e non si vede nemmeno perché mai un settore di così grande importanza strategica per ogni nazione dovrebbe essere lasciato ai privati) esso sarebbe bassissimo o perfino negativo com’era nel medio evo. Basti pensare, infatti, che  conti alla mano i Risparmi di fine-ciclo sono in genere il 20% circa del PIL mentre gli Investimenti produttivi appena il 3-5% ed anche se fossero fatti tutti a credito, il che non è affatto, esisterebbe uno squilibrio tra Domanda e Offerta di denaro a fini produttivi di circa 5 volte! Poiché non è ragionevole pensare che gli Investimenti produttivi debbano essere effettuati allo stesso prezzo dei prestiti fatti ai consumatori, si comprende bene come urge una riforma radicale del credito, le cui linee saranno più chiare studiando il meccanismo di formazione del credito e la sua effettiva natura di Moneta: la Moneta creditizia. Non solo è Moneta tutta la Moneta creditizia in circolazione, ma essa è quasi tutta privata e, ancora, è solo “virtuale” grazie ad un doppio privilegio concesso alle banche private dalle leggi di tutto il mondo:

 

A)da un lato, per via del così detto “moltiplicatore dei depositi bancari”, che consiste nel privilegio di potere lecitamente prestare anche Moneta inesistente nelle loro casse “creandola elettronicamente” al momento del prestito, con l’unico limite di contenere questa creazione di Moneta “virtuale” entro quell’ammontare il cui “x”% fissato per legge sia pari al loro patrimonio: se la riserva obbligatoria è, ad esempio, del 2%, questo non vorrà dire che potranno prestare tanta Moneta propria che, unita a quella da loro creata elettronicamente, non superi il 98% del loro patrimonio, come verrebbe ingenuamente di credere, bensì che non dovranno superare il limite di 49 volte, in quanto 49+1=50 e il 2% di 50=1. Se è del 4%, 24 volte, in quanto 24+1=25 e il 4% di 25=1. Se è del 10%, 9 volte, perché 9+1=10 e il 10% di 10=1, e così via!

 

B)Dall’altro lato, abbiamo il così detto “reflusso bancario”, che consiste nel privilegio consentito da una convenzione contabile valevole in tutto il mondo, per cui queste stesse banche private non sono tenute a nullificare alla restituzione o consegnare al Tesoro la Moneta da loro creata elettronicamente dal nulla al momento del prestito, potendola bensì … trattenere esentasse e a costo-zero nel proprio stato patrimoniale, maggiorando progressivamente la propria dotazione di Moneta elettronica “allo scoperto” e contenendo progressivamente, per giunta, il valore percentuale effettivo della riserva (signoraggio secondario o creditizio)!

 

Ad oggi, la Moneta creditizia ha quasi del tutto sostituito il contante negli scambi, tanto che oltre il 99% delle transazioni avviene in Moneta creditizia “virtuale”, mentre, data la proprietà privata delle più grosse banche centrali e comunque la sudditanza delle restanti rispetto al potere politico delle grosse banche private, e dato anche il loro elevatissimo livello di integrazione, i controlli sono pressoché inesistenti e si calcola che il moltiplicatore bancario dei colossi bancari USA  sia ormai compreso tra 1000 e 100.000, se non addirittura infinito, mentre la Moneta creditizia “allo scoperto” oggi in giro per il mondo potrebbe ormai comprare (senza pagare) oltre 5 volte l’intero pianeta terra rendendo ridicola la pretesa che le banche centrali vigilerebbero virtuosamente per mantenere il rapporto 1:1 tra la Moneta e ciò che essa “compra” pena l’iperinflazione!


 

LA BORSA

E’ altresì Moneta, è privata ed è “allo scoperto” pure la quasi totalità della massa cartolare oggi in circolazione, costituita dalla “bolla speculativa” mobiliare, di dimensione ormai decine di volte maggiore della Moneta creditizia “virtuale”. E va pure tenuto bene a mente che quando aumenta l’indice di borsa o il prezzo al mq del mattone senza che aumenti corrispondentemente la ricchezza “relae” che i titoli dovrebbero rappresentare o la qualità degli immobili, non aumenta affatto la ricchezza comune ma si realizza solo una inflazione speculativa dei cespiti mobiliari e immobiliari nel circolo Denaro-Denaro che consiste in una crescita illusoria della ricchezza che consente ai loro detentori di comprare “senza pagare” con i medesimi cespiti inflazionati dalla speculazione più beni e più lavoro di prima ai danni dei produttori (profitto più salario).

In borsa, del resto, esiste ormai una quantità incredibile di junk bond, titoli autoreferenti o rappresentanti di indici e dunque incorporanti solo una scommessa, al pari dei “derivati speculativi”, responsabili degli isterici alti e bassi delle quotazioni del petrolio come di altre 16 materie prime e di tantissimi titoli e valute alle cui quotazioni sono agganciati e le cui quotazioni spingono nella direzione impressa dal loro sbilancio, provocando coscientemente, ogni volta, altrettante “profezie che si autoavverano”. Si pensi che nel 2009, per ogni barile “fisico” di petrolio scambiato, ben 100.000 ne passavano di mano “virtualmente” con queste vendite “mimate” con i derivati speculativi sul petrolio e che a fronte di un PIL mondo di circa $ 50.000 Mld, la mole raggiunta da questi derivati ha toccato quota $ 1.000.000 Mld, mentre la Lehman bros. è fallita con un “buco” da “derivati perdenti” valutato intorno a $ 1.000 Mld (peraltro quasi solo verso le banche proprie “sorelle” consorziate nella Fed e detentrici di quegli stessi derivati che per loro erano ovviamente “vincenti”)! Una crisi “virtuale”, quella dei subprime, dovuta alla crisi dei derivati speculativi “perdenti” sulla iper-cartolarizzazione allo scoperto dei subprime e dei derivati “perdenti” sul petrolio, per contrastare la quale Fed e BCE hanno immesso Moneta “allo scoperto” per circa $ 1.000 Mld ed i governi di USA, Inghilterra e Germania hanno portato il proprio debito pubblico, rispettivamente, all’84%, nel giro di 18 mesi, ed al 100% ed al 102%, nel solo spazio di una notte, rispetto al PIL!

 


 

IL SISTEMA FISCALE

Una volta ribadito quanto già detto alla voce “debito pubblico” nella sezione “Il Pensiero unico in economia” e nelle precedenti voci di questa sezione, il tema va ora trattato insieme a quello della corruzione, della criminalità comune e della evasione fiscale.

Per quanto riguarda la corruzione, vale la pena segnalare come essa non sia affatto il semplice prodotto della cattiveria dell’uomo, onde per cui dovremmo solo imputare a noi stessi la sua esistenza, dividendoci tra giustizialisti e rassegnati. Essa è infatti da sempre uno dei pilastri fondamentali su cui poggia ogni potere di classe, in quanto consente di fidelizzare i funzionari pubblici senza doverli strapagare ufficialmente e rendendoli nel contempo ricattabili, organizzando altresì una piramide delle corruttele che consente di sviare la imparzialità amministrativa ufficialmente rivolta a garanzia dei deboli, a favore di chi più riesce a corrompere, ovvero a favore di chi possiede più risorse economiche e politiche. E’ per questo che in ogni società classista ritroviamo una piramide di corruzione apparentemente incoercibile!

E non è nemmeno un caso che anche la criminalità sia così diffusa e apparentemente ineliminabile. Essa svolge infatti un ruolo molteplice al servizio del potere classista, in quanto: 1)devia verso uno sfogo antisociale la parte più turbolenta degli inoccupati e dei sottoproletari, alleggerendo nel contempo la pressione che rischia di sfociare verso il ribellismo sociale; 2)devia verso la piramide del crimine potenziali capi-popolo, trasformando parte della possibile protesta sociale in protesta individuale e integrando nella piramide potenziali avanguardie di lotta. 3)sposta verso uno sterile e ingenuo giustizialismo l’opinione pubblica ignara del suo significato politico e sociale; 4)permette un efficace controllo del territorio che si spinge fino alla colletta di voti clientelari indirizzabili verso i politici corrotti che promettono di usare la mano leggera verso la criminalità; 5)crea progressivamente una economia sommersa nella quale lo sfruttamento di classe è criminale e non sindacalizzato.

Per quanto invece concerne il tema della evasione fiscale, vale qui la pena sottolineare la specificità del caso italiano, la cui pressione tributaria al netto della evasione è superiore di circa il 3% rispetto alla media europea, mentre al lordo la supera di ben 20 punti percentuali! Come dire che se domani tutti gli evasori si pentissero e versassero spontaneamente quanto nominalmente a loro carico, si dovrebbero immediatamente ridurre di almeno 1/3 le imposte! Perché allora va così da oltre 50 anni? Semplicemente per criminalizzare 5 milioni di italiani e fare crescere a dismisura il numero dei sorteggiabili per i controlli, formando nello stesso tempo un esercito di piccoli contribuenti pronti a solidarizzare con la grande evasione, l’unica che veramente beneficia di questo terribile meccanismo sia in termini di mancate verifiche che in termini di egemonia culturale!


 

IL DEBITO PUBBLICO

Alla Massa monetaria elettronica ed allo scoperto occorre pure aggiungere la gigantesca massa dei bot “collocati elettronicamente”: abitualmente, il 90-95% del totale dei bot restano infatti invenduti nelle aste e vengono “collocati elettronicamente” presso le banche, ovvero annotati elettronicamente presso le scritture delle banche collocatarie e scambiati con Moneta creditizia elettronica che, come abbiamo visto, è anch’essa virtuale e allo scoperto. Si tratta pertanto di un debito pubblico assolutamente elettronico, virtuale e allo scoperto che diventa perfino una semplice partita di giro nel momento in cui sono pubbliche le banche collocatarie, perche finiscono per coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche collocatarie).

Era così infatti nella prima repubblica, prima della loro criminale svendita bipartisan praticata a prezzi decine di volte inferiori … ai soli bot ivi collocati!

La natura prettamente “virtuale” del debito pubblico è importantissima anche perché consente di estendere ulteriormente l’efficacia del deficit spending, ben oltre i suoi tradizionali limiti.

Il deficit-spending consiste nell’accendere un debito pubblico aggiuntivo (poniamo, 100) e tradurlo in una pari spesa pubblica aggiuntiva (+100) sapendo che provocherà una espansione virtuosa del PIL che è multipla (circa 5 volte 100) rispetto all’indebitamento pubblico acceso per avviare il processo moltiplicatorio. Poiché, poi, il 40% circa del PIL va in tasse, questa espansione del PIL  provocherà un introito fiscale aggiuntivo pari al suo 40% circa, che consente di ripagare l’indebitamento aggiuntivo  ed espandere ulteriormente il sistema.

Un po’ più in dettaglio il meccanismo è questo: poiché come abbiamo già detto altrove il 4% circa del PIL viene normalmente speso per Investimenti produttivi, mentre il 20% viene Risparmiato, ne discende aritmeticamente che l’80% restante viene Consumato. Conseguentemente, ogni volta che in un certo ciclo si finanzia una spesa pubblica aggiuntiva pari ad esempio a 100, essa induce nel ciclo successivo una Domanda aggiuntiva pari al suo 84% e dell’84% di questo 84% in quello successivo ancora, e così via sino all’esaurimento del processo moltiplicatorio (chiamato “keynesiano” dal nome di J.M. Keynes che lo scoprì nel ’32 studiando la crisi di Wall street). Dalla formula delle progressioni geometriche a ragione negativa si ricava che l’importo complessivo dell’intero processo moltiplicatorio è pari al primo termine (100) moltiplicato per l’inverso della “ragione”, ovvero per l’inverso della percentuale che viene per qualsiasi motivo sottratta al processo stesso (cioè 1/16%= 6,25), ovvero 625! Computando dal maggior Reddito (625) la quota che torna allo stato come maggiori imposte (di media, nei vari paesi sviluppati, il 40% circa di 625, ovvero 250), vediamo che lo stato può così rimborsare il prestito contratto (100) più gli interessi su questo prestito (10-20) e gli restano per giunta consistenti risorse aggiuntive per effettuare altre spese pubbliche (130-140). Tuttavia, in ogni economia totalmente “aperta” verso l’esterno perchè il suo governo, in ossequio al P.U., ha optato per il regime della “deregulation valutaria”, parte degli effetti moltiplicatori andranno necessariamente a vantaggio delle imprese estere ed è per questo che, come si sente dire spesso, nessun paese vuole “fare da locomotiva”. Solo optando per un regime di controlli valutari sulle transazioni con l’estero del tipo di quelli vigenti per tutti i paesi preunitari fino agli anni ’80 è invece possibile contingentare le Importazioni per mantenerle allo stesso livello precedente l’adozione delle ricette espansive keynesiane e rendere l’Export-Import insensibile rispetto alla crescita della Domanda interna e dell’inflazione interna. E non basta: un secondo grosso limite all’operare del moltiplicatore keynesiano è dato dalla percentuale di Domanda che non si traduce in Offerta per via della politica tariffaria praticata dai trust che, quando aumenta la Domanda, preferiscono aumentare solo parzialmente l’Offerta per spuntare listini più alti e lucrare i così detti extraproftti da oligopolio: se, ad esempio, questo “strozzo” sottrae un altro 18% al processo moltiplicatorio riducendolo dall’84% al 66%, cala infatti la Domanda complessiva che viene generata ad ogni nuovo ciclo (100 x 1/34%=300 circa anziché 625) e le imposte aggiuntive passano da 250 (40% di 625) a 120 soltanto (40% di 300), spingendo il moltiplicatore keynesiano a ridosso del suo limite di utilizzabilità! A quel punto, solo il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust potrebbero ovviare al problema, oppure … il deficit-spending praticato con Moneta creditizio-finanziaria “allo scoperto” e contrattando con gli altri paesi il pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import o perseguendolo con la svalutazione progressiva del cambio della Moneta nazionale!

Oggi, con un debito pubblico complessivo intorno ai € 1.800 Mld, paghiamo ogni anno interessi per circa € 80 Mld l’anno e siamo al 118% sul PIL! E se siamo in compagnia di paesi oggi molto criticati quali la Grecia (115%), non dobbiamo dimenticare che oggi non stanno meglio di noi nemmeno paesi come gli USA(84%), Inghilterra e Germania (100% circa) o Giappone (200%).

Orbene, se volessimo rimborsare il nostro debito in, poniamo, 20 anni, ci servirebbero circa € 90 Mld per la sorte capitale, cui dovremmo aggiungere almeno altri € 40 Mld annui di interessi a scalare, per un totale di ben € 130 Mld l’anno! Oggi dunque, con finanziarie da € 20-30 Mld l’anno, stiamo solo rallentando … la velocità di aumento del nostro debito, non lo stiamo né bloccando né tanto meno contraendo, per cui ci stiamo solo prendendo in  giro! E dobbiamo pure considerare che, alla luce di quanto appena detto a proposito del deficit-spending, ogni volta che per operare un rimborso pratichiamo tagli della spesa pubblica o degli aggravi fiscali di pari ammontare, contraiamo corrispondentemente il mercato a disposizione delle nostre aziende, le quali saranno costrette a ridimensionare di conseguenza l’Offerta di beni e servizi,  contraendo allo stesso ritmo gli Investimenti produttivi e l’Occupazione. Così operando, però, queste imprese sottrarranno altro mercato alle imprese che sul mercato interno producono beni e servizi per le imprese e per i lavoratori, ed avvieranno un processo moltiplicatorio impansivo della base produttiva, della Occupazione e del Reddito, ovvero del PIL, il cui ammontare complessivo è pari a 3-5 volte la contrazione iniziale di Domanda che abbiamo provocato con i tagli e gli aggravi fiscali, aggravando il rapporto debito/PIL anziché ridurlo. L’unico rimborso ormai “possibile” è dunque quello che potremmo e dovremmo gravare sui soli ceti possidenti, quegli stessi che privilegiamo fiscalmente da oltre 60 anni. Il loro alto Reddito rende infatti questi ceti quasi esclusivamente Risparmiatori e non Consumatori, annullando gli effetti moltiplicatori recessivi che provoca invece ogni taglio o aggravio fiscale operato sulle fasce medio-basse di Reddito. Tuttavia, poiché i mercati finanziari rappresentano solo gli umori dei detentori di Capitali e delle multinazionali finanziarizzate, non mai quelli delle imprese mercantili, ovvero quelle produttive e  non-finanziarizzate, non gradirebbero affatto una simile opzione e la speculazione interna e internazionale, di fronte alle fughe di Capitali provocate da queste manovre “non gradite”, scommetterebbe agevolmente al ribasso in borsa e contro l’euro, provocando un doppio crack borsistico e valutario.

Queste sono le conseguenze inevitabili dell’altra scelta suicida operata a Maastricht in una orgia di pseudoliberismo, quella di lasciare le frontiere valutarie della UE, al pari delle sue borse, totalmente “aperte” a qualsiasi transazione mobiliare, incluse quelle esclusivamente speculative (è questa la così detta “deregulation”). Senza adeguati vincoli antispeculazione in borsa non è possibile per nessun paese contrastare la massa di speculazioni che è in grado di mettere in campo la speculazione internazionale, mentre  abbandonando le barriere valutarie anti-speculazione vigenti fino agli anni ’80 abbiamo reso impossibile ogni difesa centralizzata del cambio dell’euro, costringendoci  da soli ad adottare le sole scelte “gradite” ai mercati finanziari, pena il doppio crack borsistico-valutario!

Dal punto di vista storico, poi, va puntualizzato che il nostro debito pubblico non è affatto dovuto all’assistenzialismo clientelare ed alle corruttele della prima repubblica, come si lascia demagogicamente intendere per nascondere le responsabilità degli ambienti creditizio-finanziari: basta scorrere i dati del rapporto debito/PIL italiano dal ’72 all’81, ovvero quando ormai il sistema clientelare era stabilizzato da una ventina di anni, per cogliere come questo dato resta quasi invariato i questi anni, oscillando intorno al valore medio del 55%. E’ solo dall’81 che comincia a salire inesorabilmente al gradiente del 3-5% annuo, sino a raggiungere il 124% nel ’94 (oggi è, se i conti sono “veri”, intorno al 118%). Cosa accadde nel 1981? Che si decise di agganciare la lira allo SME (sistema monetario europeo) e poco dopo … di adeguare i più bassi tassi di interesse italiani ai più alti europei! Potenza della demagogia!

Ecco dunque che possiamo tirare le fila e concludere dicendo in sintesi come funziona in realtà l’economia, sia in tempi di pace che in tempi di guerra, all’insaputa di una opinione pubblica cui si racconta invece la favoletta edificante del Risparmio quale “motore” dell’economia e della “virtù finanziaria” quale criterio-guida degli stati previdenti: funziona con una Moneta creditizio-finanziaria che è “falsa”, nel momento in cui viene immessa nel circuito D-M-D per finanziare “allo scoperto” dei Consumi interni aggiuntivi pubblici e privati, e che diventa paradossalmente “vera”, man mano che vengono prodotti davvero i beni e servizi che ha così reso profittevole produrre!

Cambia tutto una volta compreso ciò. Vuol dire, infatti, che, per produrre ciò che serve per le infrastrutture pubbliche e per i Consumi pubblici e privati tipici dei dominati di una qualunque area a capitalismo maturo, al lordo della corruzione, basta circa la metà del monte-ore ordinariamente lavorate e degli Investimenti produttivi ordinariamente effettuati.

Aumentando questo monte-ore e questi Investimenti produttivi, è possibile soddisfare altri bisogni umani e potenziare la base produttiva, e ne avanza per ridurre corrispondentemente sia l’orario di lavoro che l’età pensionabile!

Ed eliminando la corruzione, questa disponibilità aumenta ancora un po’.

In una economia di mercato, però, perché sia profittevole produrre questi beni aggiuntivi non basta che ne esista il “bisogno”, ma occorre che questo bisogno, reale o fittizio che sia, si traduca in Domanda pagante. Perché un bisogno si traduca in una Domanda pagante, occorre un Reddito monetario, il quale, per la parte in cui non discende automaticamente dall’avvio del circolo virtuoso produttivo, necessita di essere finanziata dall’esterno con una Moneta aggiuntiva che venga accettata socialmente e che venga distribuita ai soggetti, pubblici e privati che siano, i quali spenderanno concretamente questa Moneta aggiuntiva, e il tutto deve avvenire in un modo che venga “accettato” socialmente, il che per la elite significa di nascosto e clientelarmente.

Poiché senza questa Moneta aggiuntiva il circolo D-M-D si inceppa e comincia a impandere al ritmo dettato dal gap di inizio-ciclo non colmato, o questa Moneta aggiuntiva viene immessa nel circolo in modo democratico, come ancora non è mai avvenuto, o viene immessa in modo non democratico, com’è avvenuto fino ad oggi o come potrebbe peggio ancora avvenire domani.

Si apre pertanto il dibattito politico non già sulla liceità della Moneta creditizio-cartolare “allo scoperto”, essendo scontato che essa è necessaria, agevole da creare ed arci-utilizzata da tempo, ma sulla sua proprietà, ovvero se debba essere privata o pubblica, e su quali e quanti Consumi debba finanziare, ovvero su cosa, quanto, come e per chi produrre!

E’ evidente che un simile dibattito vedrebbe un brutale spostamento a sinistra dell’asse politico della opinione pubblica, e, quindi, la fine di un mondo.

La elite creditizio-finanziaria oggi egemone non vuole assolutamente consentirlo ed il Pensiero Unico combatte al suo servizio al livello dello immaginario collettivo insieme alle mille altre sue alchimie e invenzioni di chirurgia sociale studiate per mantenere l’ignoranza e lo status quo.

Per avere una idea più precisa di quale programma potrebbe essere finalmente avanzato una volta rinnegato il P.U., v. adesso il programma esposto nella sezione “l’alternativa per una economia sostenibile”.

 

 

 

Confutazione scientifica del Pensiero Unico

Il nostro centro studi è giunto alla conclusione che per comprendere come si dovrebbe altrimenti operare occorre necessariamente prima spingere l’analisi sino alla revisione critica dei fondamenti fattuali e logico-funzionali del Pensiero Unico. E’ facendolo, infatti, che siamo riusciti a ricostruire puntualmente che esso poggia su una serie incredibile di bugie fattuali e di aporie logico-funzionali, tanto da spiegare in termini quasi caricaturali quanto ebbe a dire confidenzialmente  F.D.Roosvelt, l’allora presidente USA,  a sir Halifax, il plenipotenziario del governo inglese, il 10 Agosto 19412, sul Potomac, 4 mesi prima di Pearl Harbour, durante l’Atlantic Round, ovvero durante la tornata di incontri anglo-americani in cui si discuteva, con gli USA formalmente ancora neutrali, dell’assetto economico-monetario da dare al pianeta una volta sconfitte le potenze dell’Asse.

Quella frase, che inizialmente ci aveva colpiti perché ci era sembrata imperdonabilmente esemplificatrice ed esagerata, col procedere della revisione scientifica l’abbiamo colta invece in tutta la sua pregnanza, comprendendo come fosse in realtà letteralmente vera: l’economia che si insegna nelle università, che viene veicolata dei media e che è stata introiettata un po’ da tutti fino al livello del luogo comune da bar, e che infine è oggi creduta pure dai politici di ogni orientamento, non presenta solo qualche incongruenza logica e imprecisione fattuale, ma è davvero totalmente falsa! Le sue bugie e le sue aporie sono infatti così tante e così tanto gravi e profonde, che il Pensiero economico oggi dominante non può definirsi che così: totalmente falso. Come altrimenti definire un Pensiero che si inganna totalmente sul funzionamento del circuito economico, sulle determinanti degli Investimenti, sull’Export-Import, sull’inflazione, sul cambio, sulla Moneta, sul credito, sulla borsa, sul sistema fiscale e sul debito pubblico?

Limitandoci qui alle principali critiche e giusto per farne una carrellata a mo’ di zapping, dobbiamo infatti almeno rilevare che, contrariamente a quanto afferma il P.U.:

1)l’inflazione è sottostimata ufficialmente del 3% annuo circa da oltre 15 anni, per cui, contrariamente a quanto sostenuto da scienza, media e da quasi tutti i politici, retribuzioni, pensioni, welfare e PIL si sono conseguentemente contratti in termini reali di oltre il 60% rispetto ai livelli pre-Maastricht;

2)l’euro è diventato sempre più “forte”, vanificando la contrazione delle retribuzioni e del peso fiscale del welfare così operato ed impedendo a questa competitività “stracciona” di compensare il rincaro all’estero dei nostri listini in euro;

3)di conseguenza, il saldo Export-Import non è riuscito e non riesce a compensare il calo progressivo della Domanda interna provocato dalle misure di “rigore” praticate bipartisan in ossequio ai principi pseudo-liberisti del Pensiero Unico e la recessione sta facendo corrispondentemente contrarre Investimenti, Occupazione e Reddito, nonchè aumentare il lavoro precario e quello “nero”, a misura che calano i Consumi popolari nazionali pubblici e privati;

4)mentre il costo del lavoro incide per appena il 5-10% sui costi d’impresa, per cui nemmeno lavorando gratis si potrebbe battere la concorrenza “sleale” delle imprese multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo per poi ri-esportare al nord il 95% della produzione così conseguita, gli oneri finanziari stanno incidendo sempre di più, sfiorando oggi  perfino il 50% nelle imprese medio-piccole;

5)l’euro “forte” penalizza le nostre Esportazioni rispetto alle Importazioni nella stessa identica misura in cui le penalizza una più alta inflazione. Ne consegue che a fronte di una inflazione USA, ad esempio, del 7%, e, nella UE, poniamo, del 3%, basta svalutare l’euro in misura pari al loro differenziale di inflazione, ovvero del 4%, perché rimanga inalterata la competitività relativa dei rispettivi Export-Import.

6)l’inflazione è possibile, nelle fasi espansive, solo espandendo l’Offerta meno di quanto aumenti la Domanda, e, nella fasi recessive (stagflation), solo contraendo l’Offerta più di quando cala la Domanda, il che in entrambi i casi è provocato volontariamente dai trust allo stesso modo di come fa l’ingrosso agroalimentare quando distrugge periodicamente delle derrate per trasferire sui prezzi la tensione esercitata dalla parte di Domanda lasciata volontariamente insoddisfatta, con l’unica differenza che mentre distruggere ciò che la natura ha creato è appariscente, mentre non costruire qualcosa non lo è;

7)il nostro debito è sostanzialmente causato dalla scelta pseudo-liberista di privilegiare fiscalmente i Redditi da Capitale con un prelievo di appena il 12,50%, a fronte di un peso fiscale dal 50% in su gravato sui Redditi da impresa e dal 25 al 45% gravato di media sulle retribuzioni e sulle pensioni medio-basse. A fronte di un PIL nominale intorno a € 1.600 Mld e di entrate pubbliche intorno a 750, il nostro debito pubblico sfiora i 1.800 e gli interessi passivi sul debito pregresso gli 80. Con finanziarie intorno a € 20-30 Mld, dunque, non stiamo affatto rimborsando un bel nulla, ma solo … rallentando la velocità di aumento di un debito pubblico che ormai è assolutamente non rimborsabile, a meno di gravarlo sulla Rendita e sui ceti possidenti;

8)mentre i Risparmi di fine-ciclo sono oggi di media circa il 20% del PIL, gli Investimenti produttivi sono di media appena il 3-5%. Ne consegue che non c’è nessuna “fame” endemica di Capitali, ma piuttosto il loro esubero endemico, il che non giustifica né la loro iper-remunerazione, né la loro detassazione, né alcun sacrificio sociale per attrarne sempre di più dall’esterno e vederli poi rivolgere solo alla speculazione anziché alla produzione;

9)il vero problema del capitalismo, dunque, non è attrarre quanti più Capitali è possibile, ma reperire/creare una Domanda autonoma da sistema distributivo interno di  quantità tale da colmare il gap esistente tra i Risparmi di fine-ciclo e gli Investimenti produttivi effettuati all’inizio del ciclo successivo.

10)Volere reperire questa Domanda “esterna” nel saldo attivo dell’Export-Import vuol dire tentare di Esportare nei paesi “fratelli”, insieme ai propri beni e servizi, pure tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne induce la mancata produzione nazionale che si vuole soppiantare con le proprie Esportazioni. E tagliare sistematicamente i Consumi popolari interni pubblici e privati per farlo, vuol dire contrarre tutti la “torta” comune da dividere tra le varie imprese nazionali nel vano tentativo di appropriarsi di una sua “fetta” maggiore, provocando e alimentando la recessione internazionale. Di conseguenza, tagliare i Consumi popolari interni pubblici e/o privati per conseguire una maggiore competitività “stracciona” ed attrarre Capitali dall’esterno e “pompare” una “bolla” speculativa ha la stessa logica demenziale del segare il ramo su cui si è seduti!

11)quando sale l’indice di borsa o il prezzo al mq del mattone senza che sia corrispondentemente aumentata la ricchezza “reale” che i titoli dovrebbero rappresentare o la qualità degli immobili, non aumenta affatto la ricchezza comune ma si verifica solo una inflazione speculativa dei cespiti che aumenta la Moneta nelle mani dei loro detentori, con cui ora riescono a comprare, senza in realtà pagare, più beni e più lavoro di prima, sottraendo ai ceti produttori una parte maggiore del prodotto sociale da essi soltanto in realtà costruito;

12)la “bolla” speculativa mobiliare consiste nella gigantesca massa di titoli in circolazione che non sono davvero rappresentativi di ricchezza “reale” perché incorporanti solo una scommessa (derivati speculativi, futures, options e simili) o che lo sono solo in minima parte, dei junk bond e dei titoli autoreferenti perché ad esempio agganciati solo ad indici. Per ogni barile fisico di petrolio, ad esempio, si calcola che nel 2009 ne passavano di mano di “virtuali” come derivati speculativi sul petrolio ben 100.000 (1.250 del 2006), laddove più o meno lo stesso accade per altre 17 commdities. La massa complessiva dei derivati speculativi oscilla ormai tra 13 e 20 volte il PIL-mondo (tra $ 650.000 e 1.000.000 Mld, a fronte di circa 50.000);

13)le banche prestano una Moneta creditizia inesistente al momento nelle loro casse ma che viene  creata solo elettronicamente, il che è lecito purchè venga contenuto nei limiti della riserva prudenziale, che, per i colossi bancari USA, integrati sin dal 1913 nel consorzio privato della Federal Reserve, è ormai, di fatto, da 1/1.000 a 1/100.000 i loro patrimoni. E’ così che la Moneta creditizia “virtuale” creata elettronicamente in giro per il mondo potrebbe ormai comprare (senza pagare) più di 5 volte l’intero pianeta, mentre la Moneta cartolare “virtuale” creata speculativamente è addirittura decine di volte tanto;

14)poiché appena il 5-10% dei bot viene realmente venduto nelle aste, il restante 90-95% viene semplicemente “collocato elettronicamente” presso le banche, e, dunque, scambiato con Moneta creditizia che abbiamo appena visto essere “virtuale” anch’essa. Ne consegue che il debito pubblico è una voce in massima parte solo “virtuale” e che, per giunta, quando sono pubbliche le banche collocatarie, diventa una semplice “partita di giro” perché viene a coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche).

15)a Maastricht si è deciso di mantenere le frontiere valutarie dell’euro totalmente aperte a ogni transazione mobiliare, incluse quelle solo speculative, e pure di lasciare le borse senza controlli anti-speculazione (“deregulation borsistica e valutaria”). In tal modo non è possibile una fissazione centralizzata del cambio dell’euro e per impedire rovinose fughe di Capitali ed euro, non possiamo fare altro che sedurre i detentori di Capitali varando solo le politiche a loro gradite. Di qui le insistite manovre deflattive e le privatizzazioni a prezzi sottomultipli di quelli di mercato che hanno distrutto già oltre il 50% della ricchezza esistente negli anni ’80. Senza reintrodurre i controlli anti-speculazione allora vigenti e senza introdurre il calmiere all’ingrosso, non sarà pertanto mai possibile invertire la tendenza e salvare dal degrado indefinito oggi in atto le socialdemocrazie occidentali. Per farlo, però, occorre innanzitutto abbandonare ogni ricetta del Pensiero Unico e operare una vera e propria rivoluzione copernicana in economia. Questo è il compito che ci siamo prefissi e da qui scaturisce il programma che proponiamo nella apposita sezione a lui dedicata.

 

A questo punto, dopo avere dato la scorsa a questo breve elenco di (sconvolgenti) rivelazioni, da un lato dovremmo sentire tutti l’imprescindibile esigenza di verificarne con attenzione la fondatezza, e, quindi, studiare daccapo e con serietà l’economia, e, dall’altro, chiederci sinceramente come possano essere sfuggite simili imperdonabili “sviste” alla scienza ufficiale, agli “esperti” (che però, guarda caso, provengono in genere dal mondo creditizio-finanziario e delle multinazionali finanziarizzate, mai dal mondo del lavoro (lavoratori e imprese medio-piccole),  ai media, alle associazioni di categoria.

Il CIRCOLO Denaro-Merce-Denaro e Denaro-Denaro

IL CIRCOLO Denaro-Merce-Denaro E Denaro-Denaro

Il Pensiero Unico evita il più possibile di fare cogliere la circolarità dei sistemi mercantili. Come vedremo si tratta infatti di una nozione particolarmente pericolosa politicamente perché spinge a indagare come si “chiuda” il circolo della produzione/distribuzione e porta presto a rivedere criticamente sia il sistema fiscale che quello distributivo, come, soprattutto, il tema della Moneta, del credito e della borsa, cogliendo il significato vero dell’attuale architettura creditizio-finanziaria e maturando l’idea del controllo democratico della Moneta e del sistema di fissazione dei listini all’ingrosso, il che comporta la fine di un mondo basato sulla pianificazione centralizzata del capitalismo da parte di una elite parassitaria di cui non si ha alcun bisogno “tecnico”.

Per quanto intuitiva, questa idea, come vedremo nella sezione “come funziona davvero l’economia”, comporta tuttavia un certo grado di astrazione ed il P.U. ne approfitta sviando l’attenzione sul ragionevole argomento per cui si Investe e si Occupa dipendenti quanto meno costa Investire e assumere. Sebbene tutti dovrebbero immaginare che quando il contesto è recessivo nemmeno regalando loro i Capitali gli imprenditori li userebbero per produrre più beni e più servizi, l’assunto ha una sua certa presa intuitiva ed unito a tutta una serie di altri falsi argomenti riesce infine, come vedremo, a radicare una gestal pseudo-liberista nella mente dei profani come dei tecnici, le cui critiche restano nel mondo delle perplessità e finiscono per non diventare a loro volta una gestal alternativa a quella egemone.


 

GLI INVESTIMENTI

Il P.U. cerca innanzitutto di accreditare l’idea che siano “Investimenti” sia gli impieghi di denaro che consistono nell’acquisto di beni e servizi direttamente strumentali alla produzione per il mercato, sia gli impieghi di ricchezza comunque rivolti all’acquisto di immobili, titoli e valori mobiliari, inclusi gli impieghi esclusivamente speculativi della ricchezza.

A questo punto, insiste nella sua visione ingenuamente mercantile e avanza la tesi per cui gli Investimenti sarebbero funzione inversa dei loro costi (tra cui fa primeggiare il costo del denaro: l’interesse) e non funzione diretta della Domanda interna al saldo dell’Export-Import, com’è invece. La Domanda, per il P.U., sarebbe invece solo fattore di inflazione e questa viene quindi letteralmente demonizzata dal P.U. per convincere, da un lato, della necessità di dare assoluta priorità al suo contenimento, e, dall’altro, che sia possibile perseguire una espansione ad inflazione-zero privilegiando i Risparmi (i ceti possidenti ed i detentori di Capitali) e comprimendo i Consumi popolari interni pubblici (welfare) e privati (retribuzioni) per contrarre progressivamente le imposte sui Redditi da impresa e sui Redditi da Capitale, nonché per ridurre i costi di produzione (retribuzioni, saggio di interesse e imposte) ed acquisire una sempre maggiore competitività (in realtà solo “stracciona”) da spendere sui mercati internazionali.

Un metodo chiamato sinteticamente “bassi salari + Esportazioni”.


 

EXPORT - IMPORT

Nella logica del P.U. bisognerebbe tenere bassa la Domanda interna per contenere l’inflazione e i costi di produzione, sfruttando questa competitività relativa (in realtà solo “stracciona”) per fondare lo sviluppo sul saldo attivo Export-Import. Peccato che così agendo tutti, nessuno “fa da locomotiva” e si contrae la Domanda internazionale a disposizione delle imprese, provocando e alimentando indefinitamente la recessione internazionale! Il proposito è del resto fratricida e potenzialmente guerrafondaio in quanto chiede alle proprie maestranze e all’intera società civile di condividere il progetto di contrarre all’interno retribuzioni e welfare pompando oltretutto i privilegi dei ceti possidenti, al fine di sottrarre agli altri popoli quanti più Capitali è possibile e contrarre i costi interni al punto da battere la concorrenza di quei paesi che non riescono a fare altrettanto, Esportando in essi, insieme ai propri beni ed ai propri servizi, anche tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne implica la mancata produzione nazionale che si va soppiantare con le proprie Esportazioni.


 

L'INFLAZIONE

Per il P.U. l’inflazione è il pericolo numero uno dell’economia capitalistica. L‘inflazione, a suo avviso, renderebbe infatti meno competitive le imprese nazionali sul fronte dei prezzi, farebbe fuggire i Capitali dall’Italia e scatenerebbe la speculazione ribassista in borsa su titoli ed euro. Il P.U., dunque, parte dal presupposto che non si debbano reintrodurre i tradizionali controlli e vincoli antispeculazione, ma si debba mantenere la più assoluta “deregulation” valutaria e borsistica voluta a Maastricht, una scelta che comporta la rinuncia volontaria ad ogni controllo centralizzato del cambio della Moneta e costringe alle sole scelte “gradite” a detentori di Capitali ed ai ceti possidenti, pena le fughe e la successiva disintegrazione di cambio e borsa. Come vedremo nella sezione “come funziona davvero l’economia”, non solo ciò non è affatto ovvio, ma è in realtà una scelta suicida dal punto di vista capitalistico perché costringe alla deflazione recessiva indefinita al fine di evitare una evitabilissima … recessione inflattiva!

 

Il P.U. distingue quindi tra un inflazione da Domanda, una inflazione da costi interni o importati e una inflazione da Moneta.

 

L’inflazione da Domanda viene spiegata in termini assolutamente banali. Si dice infatti che poiché quando la Domanda scende il prezzo scende e quando la Domanda sale il prezzo sale, nelle fasi espansive, poiché è la Domanda che salendo sta “riscaldando” l’economia, i prezzi rischiano di salire da un momento all’altro. In barba al liberismo di facciata, il P.U. consiglia quindi alle autorità centrali di intervenire immediatamente al primo accenno di inflazione contraendo deflattivamente la Domanda interna onde fare cessare la tensione esercitata sui prezzi dalla Domanda, ridando fiato ad essa solo quando i prezzi sono nuovamente sotto controllo. E’ questo il così detto “stop and go”. Peccato però che nell’esclusivo interesse di Rendita e ceti possidenti,  in genere si vedono solo gli stop e quasi mai i go! L’argomento peraltro assomiglia a quell’altro per cui bisognerebbe smettere di fare l’amore al primo accenno di ipertensione per ricominciare a farlo solo quando la pressione è tornata normale. Meglio così, dunque, non farlo affatto!

 

L’inflazione da costi consiste nella traslazione dei maggiori costi sui prezzi di vendita da parte dei produttori. Questi costi possono essere esterni alla economia di riferimento come interni ad essa. Nel primo caso (v. gli aumenti petroliferi o delle materie prime) non ci sarebbe nulla da fare se non rinunciare a parte delle proprie Importazioni. Nel secondo, invece, potrebbe intervenire lo stato contraendo altri costi di produzione quali il welfare o le retribuzioni, piuttosto che … l’incidenza percentuale delle corruttele politiche sulla spesa pubblica. Di qui il giustizialismo qualunquista-autoritario e reazionario. Il P.U., di chiare simpatie politiche, punta da sempre l’attenzione soprattutto sulle retribuzioni giungendo perfino a sostenere che le indicizzazioni automatiche sarebbero … fattore di inflazione, il che ha la stessa dignità scientifica del sostenere che sia l’apertura degli ombrelli la effettiva causa della pioggia!

 

Oggi che retribuzioni sono ai minimi storici degli ultimi 50 anni, il P.U. ha il buon gusto di non chiedere contrazioni dirette delle retribuzioni ma ripiega in genere sulla loro contrazione indiretta conseguita attraverso la progressiva precarizzazione del lavoro e la contrazione del welfare finanziato con le imposte su Profitti e Salari.

 

L’inflazione da Moneta ha ancor minore dignità scientifica. L’assunto in discorso consiste infatti in poco più che una ipotesi di scuola, in quanto sostiene che se si raddoppia la Moneta in circolazione si mettono in moto meccanismi che portano progressivamente al raddoppio dei prezzi. Nonostante l’assunto abbia ìuna ingenua plausibilità istintiva, esso è destituito del minimo pregio scientifico in quanto induce l’idea di una fantasiosa immissione non-classita di Moneta nel circuito Denaro-Merce-Denaro, laddove, come vedremo, non esiste alcun  “serbatoio” in cui giaccia la Moneta in attesa che una sorta di pompa idraulica pubblica la aspiri per irrorare la popolazione in modo imparziale. La verità è invece la più classista immaginabile e il suo studio è proprio uno dei temi centrali della nostra analisi, i cui risultati fondano il nostro stesso ubi consistam.

 

Basti qui anticipare: 1)che il 99% della Moneta usata negli scambi è creditizia e che viene creata dal nulla elettronicamente dalle banche private grazie al privilegio della “riserva frazionaria”, nonché da loro tesaurizzata a costo-zero alla restituzione grazie al “reflusso bancario”, e, ancora, che la Moneta creditizia “allo scoperto” oggi in giro per il mondo è tanta che potrebbe  comprare (senza pagare) circa 5 volte l’intero pianeta! 2) che anche i titoli borsistici, inclusi quelli autoreferenti e perfino i derivati speculativi costituiscono una Moneta anch’essa virtuale e le cui dimensioni sono decine di volte maggiori rispetto alla Moneta creditizia.


 

IL CAMBIO

Del cambio il P.U. spiega che esprime il “prezzo” della valuta nazionale in rapporto al “prezzo” delle altre valute e che si distingue tra cambi fissi e cambi variabili, laddove il cambio può essere lasciato al libero incontro della Domanda e Offerta di una certa valuta (ancghe solo speculative) sui mercati internazionali, può essere concertato tra vari paesi o essere ri-fissato d’autorità da un singolo paese in funzione delle sue decisioni di politica commerciale.

 

Quando si opta (come si è fatto a Maastricht) per la più assoluta “deregulation valutaria”, l’afflusso e il deflusso di Capitali da e per la UE comporta una corrispondente variazione della Domanda e dalla Offerta di euro sulle varie borse, che, insieme al flusso parallelamente generato dalle transazioni mobiliari speculative, fa variare in più o in meno la “bilancia dei pagamenti”. Sommando a queste variazioni anche quelle determinate dalle transazioni valutarie contro-merci (L’Export-Import effettivo), che si registrano nella così detta “bilancia commerciale”, abbiamo l’importo assoluto della domanda e della Offerta di euro ed è questo che determina il suo prezzo, ovvero il valore del cambio in ogni momento.

 

Va però saputo che già solo le multinazionali hanno in portafoglio più valute di quante ne posseggano di riserva tutti gli stati del mondo messi assieme e che grazie alla liceità del credito alla speculazione si realizza un “effetto leva” che consente di mimare vendite e acquisti decine di volte maggiori rispetto al Capitale impeigato,il che ha consentito, ad esempio a Soros, di materializzare dal nulla circa $ 500 Mld per scommettere improvvisamente al ribasso nel ’94 contro lira, sterlina irlandese e peseta, travolgendo qualsiasi difesa nazionale e inter-statale. Ne discende che se si opta per la deregulation non è più possibile approntare nessuna difesa contro il cambio della propria valuta se non quella che consiste nell’adottare le sole scelte “gradite” ai detentori di cespiti mobiliari, e, dunque, come vedremo, scelte di privilegio fiscale verso i redditi da Capitale e i patrimoni e manovre deflattive (anti-inflazione), le quali, implicando tagli dei Consumi interni pubblici e privati, sono necessariamente anche recessive.

 

Il P.U. sostiene quindi che simili scelte risponderebbero anche all’interesse collettivo in quanto farebbero affluire Capitali dal resto del mondo “pompando” euro e borsa, mantenendo nel contempo bassa l’inflazione e basso il saggio di interesse. Se ne avvantaggerebbe la competitività internazionale (pur “stracciona”) delle nostre imprese, mentre un basso saggio di interesse renderebbe meno gravoso il peso degli interessi passivi sul debito pubblico pregresso e il costo degli Investimenti. L’euro “forte”, infine, sarebbe un grande vantaggio perché renderebbe più a buon mercato i viaggi all’estero e le Importazioni necessarie quali gli acquisti di materie prime ed energia.

 

Per l’assoluta inconsistenza scientifica di questi argomenti si rimanda alle corrispondenti voci della sezione “come funziona davvero l’economia”. Qui basti fare mente locale su due questioni: 1)che per economie di trasformazione quali quella italiana, l’euro “forte” è un vero boomerang perché rincara sul fronte dei prezzi il made in Italy molto di più di quanto lo renda meno costoso il minore prezzo pagato per le materie prime e l’energia, facendo peggiorare continuamente il saldo della bilancia commerciale; 2)per mantenere invariata la competivitià relativa di due paesi a diversa inflazione interna, basta optare per il regime dei cambi concertati e svalutare il cambio  della valuta del paese a più alta inflazione in  misura pari al differenziale di inflazione.

 

Per le politiche alternative praticabili si rimanda alla medesima sezione ed alla sezione “l’alternativa per un capitalismo sostenibile”


 

LA MONETA

Sulla Moneta il P.U. cerca di dire il meno possibile, accreditando l’idea che essa sarebbe uno strumento “neutro” al pari dei kg, dei litri e dei km, che sia statale o comunque sotto stretto controllo statale. Si dilunga quindi sugli aspetti storici al solo fine di vantarne l’estrema utilità (che nessuno mette in discussione) rispetto al baratto, e, infine, per introdurre i moderni strumenti di pagamento bancario. Ciò che il P.U. tiene a precisare è solo che la circolazione di Moneta va sempre tenuta sotto stretto controllo per evitare che si verifichi una “inflazione da Moneta”. Vedremo invece che la Moneta è essenzialmente una Moneta cartolare e creditizia privata, laddove, per giunta, pure i dollari e gli euro sono in realtà in massima parte privati perché proprietà, rispettivamente, del consorzio privato della Federal Reserve e della privata BCA spa, il cui capitale è costituito da varie banche centrali che a loro volta sono private (come la BdI), pubbliche o miste.


 

IL CREDITO

Dopo avere sostenuto che le banche svolgono il prezioso ruolo di raccolta dei Risparmi dalle famiglie per consentirne il trasferimento alle imprese sotto forma di prestiti per gli Investimenti, il P.U. sostiene che il saggio di interesse sarebbe il “prezzo” della Moneta che si realizza nel mercato dei Capitali per effetto del libero incontro della Domanda e della Offerta di Moneta. In primo,luogo, però, evita accuratamente di rivelare che, conti alla mano, mentre i Risparmi di fine-ciclo sono di media circa il 20% del PIL, gli investimenti produttivi sono circa 5 volte meno, ovvero appena il 3-5% del PIL! In secondo luogo, evita pure di ammettere che l’Offerta di Moneta creditizia è ormai quasi totalmente indipendente dai depositi dei correntisti. L’attuale livello di integrazione bancaria e l’uso generalizzato di Moneta elettronica hanno da tempo ridotto a frazioni infinitesime la percentuale di riserva prudenziale che le banche dovrebbero mantenere per evitare la bancarotta ove si diffondesse il panico tra i correntisti. Se teniamo buone le percentuali fissate a Basilea2 (valevoli solo per le piccole banche, non certo per i colossi bancari azionisti di controllo delle banche centrali a loro volta azioniste di controllo della BCE) si parla, a seconda degli impieghi, di una percentuale di riserva del 2% rispetto … al capitale sociale, non rispetto ai depositi!  Questo significa due cose: a)che la percentuale di riserva non è “liquida”, consistendo in massima parte di immobili e titoli, e non di depositi; b)che le banche possono lecitamente prestare anche Moneta che non esiste nelle loro casse purchè il suo ammontare massimo sia contenuto in quell’importo il cui 2% è pari al loro capitale sociale: se esso è pari a € 1 Mld, potranno creare all’istante fino a € 49 Mld di Moneta elettronica e prestarla ad interesse, se 100 Mld, 4.900 Mld, e così via. E si calcola che la Moneta bancaria creata “allo scoperto” dalle banche private di tutto il mondo grazie a questo meccanismo moltiplicatorio virtuale (la così detta “riserva frazionaria” o “moltiplicatore bancario”) ed oggi in giro per il pianeta è così tanta che potrebbe comprare (senza pagare) circa 5 volte l’intero pianeta!

Per completezza va aggiunto che in forza di una convenzione contabile internazionalmente accettata le banche possono contabilizzare nei loro bilanci questa Moneta elettronica allo stesso modo di come contabilizzano i prestiti fatti con Moneta propria, ovvero iscrivendo al passivo l’importo mutuato (perché si sono impegnati verso i beneficiari del correntista a fare fronte ai suoi mandati di pagamento fino all’importo mutuato) e quindi iscrivendo il medesimo importo anche all’attivo (perché il mutuatario si è impegnato a restituire alla scadenza l’importo mutuato), con la conseguenza che alla restituzione annulleranno le due poste ed iscriveranno nel conto profitti e perdite solo la voce “interessi” pagando su di essi soltanto le relative imposte. Non distinguendo tra Moneta “propria” e Moneta non-propria “creata elettronicamente”, però, cosa accade alla restituzione? Accade che se in caso di liquidi propri non c’è nulla da ridire, in caso di Moneta non-propria e creata elettronicamente, non dovendo scrivere un bel nulla nel conto profitti e perdite e potendola iscrivere come se niente fosse nel loro stato patrimoniale, se ne  appropriano in perfetta legittimità a costo zero ed esentasse (così detto “reflusso bancario”)!

E tutto ciò tacendo della prassi di creare una quantità di società operative apparentemente indipendenti ed in realtà “sorelle” delle banche finanziatrici, che possono così operare sul mercato con dotazioni pressoché infinite e a costo-zero praticando concorrenza “sleale” rispetto alle imprese indipendenti dal loro sistema integrato di banche, assicurazioni e imprese mercantili operanti sui mercati internazionali. Va sotto il nome di “signoraggio creditizio” il gigantesco introito derivante dal doppio privilegio concesso alle banche private dalla “riserva frazionaria” e dal “reflusso bancario”. Un introito gigantesco da cui discende un potere economico, politico e sociale altrettanto gigantesco. Un potere che va difeso ad ogni (altrui) costo da ogni possibile istanza di controllo democratico e che presuppone il silenzio omertoso di scienza, media e politici, ovviamente “pagato”.

Orbene, il P.U. giustifica il meccanismo del moltiplicatore dei depositi come derivante dal sistema bancario nel suo complesso e poi, negando nel modo più deciso la esistenza del reflusso bancario, nega che il sistema crei una Moneta creditizia che non venga poi nullificata alla restituzione. I suoi argomenti però sono inconsistenti dal punto di vista contabile e fattuale e sono solo il disperato tentativo di accreditare l’immagine “neutra” del sistema bancario e bloccare alla radice ogni possibile istanza di riforma dell’attuale architettura creditizio-finanziaria, e, quindi, della piramide di privilegi ad essa connessa.

Si rimanda per una disamina più puntuale alla corrispondente voce della sezione “come funziona davvero l’economia”.


 

LA BORSA

Della borsa il P.U. dice soprattutto due cose:

1) che costituisce per le imprese un prezioso mercato ancillare dei Capitali, in aggiunta al tradizionale canale creditizio;

2)che costituisce anche una sorta di prezioso e attendibile “termometro” della economia di un paese, rivelando in tempo reale le reazioni dei mercati alla correttezza delle scelte operate da stati e imprese.

Evita invece di ammettere che solo le grossissime imprese ne riescono ad usufruire efficacemente e che si tratta di un mercato non-concorrenziale dalle reazioni isteriche e governato da pochi operatori internazionali capaci di scommettere a credito, al rialzo come al ribasso, somme tali da determinare ogni volta che si muovono altrettante “profezie che si auto avverano”. Un “tavolo verde” inutile, pernicioso e per giunta truccato, dunque! Chi userebbe un termometro che al minimo accenno di febbre segnasse 45 e al minimo segnale di guarigione 30? Chi può ormai fidarsi di un mercato dove stati e imprese sono accreditate al massimo grado dalle agenzie internazionali di rating sino al venerdì e il sabato presentano i libri in tribunale o vanno in default?

Va poi considerato che in borsa circola una gigantesca massa di titoli che non sono affatto rappresentativi di ricchezza “reale” perché incorporanti solo una scommessa (derivati speculativi, futures, options e simili) o che lo sono solo in minima parte per essere quotati molto di più rispetto al valore proporzionale cui danno diritto in sede divisionale, o sono solo dei junk bond e dei titoli autoreferenti perché ad esempio agganciati solo ad indici. Per ogni barile fisico di petrolio, ad esempio, si calcola che nel 2009 ne passavano di mano di “virtuali” come derivati speculativi sul petrolio ben 100.000 (1.250 del 2006), laddove più o meno lo stesso accade per altre 17 commodities. Una vera e propria “bolla speculativa” le cui dimensioni sono tali, come vedremo, da potere comprare (senza pagare) almeno 50 volte l’intero pianeta-terra! Una gigantesca Moneta cartolare “allo scoperto” che si somma alla Moneta creditizia “allo scoperto” e rende ridicola l’affermazione perentoria del P.U. per cui esisterebbe un rigido rapporto 1:1 tra la Moneta e ciò che essa compra, che vigilerebbero su di esso le autorità monetarie e le banche centrali, e, ancora, che se questo rapporto si dovesse per qualsiasi ragione perdere, scoppierebbe una inflazione tanto devastante da disintegrare il mercato monetario. Per un approfondimento si rinvia dunque alla corrispondente voce della sezione “come funziona davvero l’economia”.


 

IL SISTEMA FISCALE

Sul sistema fiscale il P.U., dopo avere dato una serie di banali informazioni tecniche, sostiene ancora che sarebbe buona regola di governo tendere al pareggio di bilancio, ovvero curare che di media le entrate pubbliche (in massima percentuale entrate fiscali) pareggino le uscite pubbliche almeno nel giro di non molti anni. Ammette tuttavia che, da un lato, ciò purtroppo appartiene ormai alla preistoria dei bilanci pubblici, e, dall’altro, che risponde a buona amministrazione accendere debiti pubblici non solo per fare fronte a situazioni eccezionali, ma anche semplicemente per tirare fuori il paese da una fase di recessione profonda e quando l’inflazione è sotto controllo. E’ questa la politica dei così detti “stop and go”: go, quando c’è recessione e l’inflazione è sotto controllo, stop quando l’inflazione ricomincia a salire, recessione o non recessione. Il P.U., comunque, nell’interesse e nell’ottica dei soli ceti possidenti, manifesta estrema ostilità verso il debito pubblico (v. voce relativa) e suggerisce di fare quadrare il bilancio aumentando le entrate pubbliche, fiscali e non fiscali, o tagliando la spesa pubblica, quella sociale in primis, accusata di essere “improduttiva”.

Sulla politica fiscale, poi, il P.U. sostiene che il prelievo dovrebbe essere il minore possibile sui Redditi da Capitale (oggi gravati da uno scandaloso 12,50% che diventa zero% se i titoli restano abbastanza in portafoglio prima di essere ceduti nuovamente) e sui patrimoni (oggi, zero), e comunque basso sui Redditi da Capitale (oggi gravati dal 50% in su nel caso delle imprese medio-piccole, quelle che meno ricorrono a strumenti sofisticati di abbattimento legale dell’imponibile). Ecco perché oggi i Redditi da lavoro sono gravati con uno scandalosissimo 20-25% che diventa addirittura un 40-45% nel caso di stipendi sui € 25.000 annui. L’idea di base è infatti che i “Risparmi” vanno favoriti per 1)contenere deflattivamente la Domanda interna e 2)fare aumentare l’Offerta di Capitali sul mercato della Moneta, tenendo così basso anche il saggio di interesse, e 3)favorire gli Investimenti rendendo nel contempo 4)più competitive le imprese nazionali.

Tagliando la spesa sociale e tollerando nel contempo una forte incidenza percentuale della corruzione politica e amministrativa sulla spesa pubblica per fidelizzare la casta politica a queste stesse scelte, nonchè gravando le imposte quasi esclusivamente su lavoratori, pensionati, ceti medi e imprese, il saldo costi/benefici diventa sempre più passivo per il mondo del lavoro (Profitto + Salario) e favorevole solo alla Rendita e ai tradizionali ceti possidenti, peraltro seminando, prima, ed alimentando, poi, la trappola della non-rimborsabilità del debito pubblico in cui siamo ormai prigionieri da troppo tempo (v. appresso e voci correlate).

A questo sfacelo va pure aggiunto il paradosso della evasione fiscale italiana per cui oggi la nostra pressione tributaria è, al netto della evasione fiscale, circa 3 punti percentuali sopra la media UE e, al suo lordo, … ben 20 punti sopra! Come dire che se domani tutti gli evasori fossero presi da una resipiscenza ipnotica e confessassero spontaneamente i loro veri imponibili occorrerebbe immediatamente ridurre di almeno un  terzo le imposte nominali per evitare il collasso dell’intera economia nazionale!

Corruzione, criminalità ed evasione servono altresì a deviare le critiche in senso ingenuamente giustizialista o perfino qualunquista-autoritario, e, dunque, reazionario. Anche su questi temi si consiglia però di rivolgersi alle corrispondenti voci della sezione “come funziona davvero l’economia”.


 

IL DEBITO PUBBLICO

 

Per il tema del debito pubblico vale quanto esposto alla voce “il sistema fiscale” di questa sezione, ma vale la pena precisare che per il P.U. il debito pubblico è sempre eccessivo, qualunque sia il suo valore assoluto o percentuale. Era eccessivo negli anni ’60 e70, quando oscillava intorno al 50-60% rispetto al PIL, e lo è stato anche dopo, quando negli anni ’80 questo rapporto ha preso a peggiorare al ritmo del 3-5% aggiuntivo annuo, partendo dal 59,9% del 1981 fino a raggiungere il 107,7% nel ’92, e, quindi, il picco del 123,3% nel 1995, oscillando poi fino al 118% attuale. Va dunque innanzitutto considerato che sono infondate le accuse rivolte dal P.U. alla prima repubblica di avere causato questo indebitamento con il proprio assistenzialismo clientelare. Il suo “sistema”, infatti, nasce negli anni ’50 e si struttura nel corso degli anni ’60, non negli anni ’80-’90, mentre l’indebitamento comincia a salire velocemente solo negli anni ’80. In secondo luogo, rileva che la voce “interessi sul debito pubblico” cresce al crescere dell’indebitamento ed è gioco forza che a un certo punto cominci comunque a gravare troppo per essere pagata con le partite correnti, il che avviene proprio negli anni ’80. In terzo luogo, soprattutto, va considerato che gli strumenti della finanza “creativa” hanno il loro boom proprio nel corso degli anni ’80 e da allora cominciano a vincere le istanze della Rendita per un trattamento di particolare favore verso i Redditi da Capitale! Tassando solo al 12,50% i Redditi da Capitale, tra il 20 e il 45% le retribuzioni e le pensioni medio-basse e dal 50% in su i redditi da impresa mentre cresceva il peso corrente degli interessi sul debito pregresso, come altrimenti potevano non peggiorare i nostri conti pubblici a partire dagli anni ’80? La colpa della prima repubblica non è stata la spesa sociale clientelare, il cui peso è trascurabile a fronte di queste altre voci di ben maggiore spessore, ma avere introdotto e mantenuto una legislazione fiscale di favore verso la Rendita e i ceti possidenti, che è stata rinnovata e ulteriormente aggravata bipartisan dalla seconda repubblica, senza avere il coraggio di ufficializzare il contrasto di classe sul punto, confidando (v. appresso) nella pressoché infinità capacità di assorbimento del collocamento elettronico dei bot da parte delle nostre 4 banche pubbliche.

Finchè esse rimasero pubbliche, il debito pubblico rimase infatti una partita non solo “virtuale” (v. voce “credito”), ma perfino una “partita di giro” (coincidendo il debitore, lo stato, con il creditore, le banche pubbliche), ma quando alla metà degli anni ’90 esse vennero  criminalmente svendute bipartisan a un prezzo sottomultiplo dei soli bot ivi collocati elettronicamente (sic !), la voce divenne effettiva e per giunta divennero stranieri parte dei creditori!   Vedi dunque anche la voce “debito pubblico” nella sezione “come funziona davvero l’economia”.

 

 

 

 

 

 

 

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Che cosa è lo Spread

In ricordo del nostro caro amico Nando Ioppolo vi riproponiamo un tema d'attualità : lo SPREAD

Lettera ai Lettori del sito degli Scipioni

Innanzitutto vogliamo ringraziare tutti quelli che ci hanno seguito con costanza e passione in questi difficili anni , ed anche coloro che lo hanno fatto in modo sporadico. Come tutti i siti condotti solo su base volontaria, soffriamo della mancanza di tempo e di risorse per tenerlo aggiornato, per avviare una relazione con voi ospitando le vostre opinioni o le vostre critiche alle nostre tesi ed alle nostre analisi, per farne un luogo di ritrovo e di confronto tra coloro che non si accontentano delle tesi “ufficiali” dell’economia ma vogliono sottoporle ad una verifica scientifica e sociale. Questa sofferenza oggi è ancora più grande per l’assenza dell'Avvocato Nando Ioppolo, fondatore ed animatore del Circolo degli Scipioni. Come avrete avuto modo di notare, la quasi totalità degli scritti e la totalità dei video presenti sono opera di Nando a conferma del suo ruolo insostituibile. Proprio sulla base di questa considerazione, la continuità del sito e dell’organizzazione potranno essere garantiti solo da uno sforzo collettivo di più persone. Noi aderenti al Circolo degli Scipioni vorremmo essere solo il primo nucleo di questo sforzo e per questo costituiremo un comitato di redazione, ma ci farebbe piacere che altri si aggregassero man mano apportando un contributo di idee e di azione sino ad arrivare ad una assemblea comune tra gli aderenti al Circolo degli Scipioni ed i fruitori del sito. Il primo atto della redazione sarà quello di proporre una revisione del sito e di alcune sue funzioni. Le prime opzioni, ma siamo aperti al contributo di tutti, sono le seguenti: Costruire un archivio dei materiali prodotti da Nando in modo da preservarne l’originalità e renderli disponibili agli studiosi, a tutti quelli che hanno avuto modo di conoscerlo ed, in ogni caso, a tutti coloro che fossero interessati; Costituire una sezione delle teorie economiche degli Scipioni. In essa confluiranno, riscritte in una forma più facile e comprensibile anche a coloro che non si occupano direttamente di economia, le tesi e le analisi sviluppate dal Circolo degli Scipioni; Costituire una sezione dedicata alla rassegna stampa ed alle pubblicazioni in tema di economia. L’obiettivo è formare nel tempo una sorta di libreria economica in modo da consentire a tutti i lettori di potersi costruire percorsi di analisi e teorici propri; Costituire una sezione di temi aperti. In essa si avanzeranno proposte su temi economici locali, nazionali ed internazionali legati al dibattito in corso. Ci farebbe piacere che le ultime due sezioni fossero animate anche dai fruitori del sito, i quali potranno intervenire direttamente. Su questi interventi la redazione si limiterà a vagliarne solo il rispetto delle regole legali e formali, ma per il resto lascerà agli autori piena libertà di espressione. I lettori potranno intervenire anche nella sezione dedicata alle tesi economiche del Circolo con osservazioni o suggerimenti. Tutti saranno recepiti dalla redazione e, se ritenute interessanti, pubblicate sul sito.

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