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Diritti negati fra capitalismo selvaggio e disumanesimo imperante

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Diritti negati fra capitalismo selvaggio e disumanesimo I governi, dal 2010 ad oggi, col pretesto della crisi economica, hanno demolito il cosiddetto vecchio welfare dei disabili e non solo. L'incipit lo diede il governo Berlusconi con Tremonti con l'annuncio, urbi et orbi, in una conferenza stampa internazionale, che noi siamo improduttivi e che l'Italia non poteva più permettersi 2 milioni di disabili. Fu la consacrazione della politica del rigore che ha messo al centro gli interessi delle banche, dei mercati e della finanza. Il governo Monti è stato il perfetto loro esecutore, il becchino dello stato sociale, inaugurando una politica fatta di soli tagli lineari di diritti civili fondamentali. I governi successivi hanno continuato sulla sua strada la politica del rigore che non ha risolto la congiuntura economica negativa, anzi, ha aumentato il numero dei nuovi poveri, la disoccupazione giovanile, la perdita di posti di lavoro a migliaia di persone, che per la loro età disperano ormai di tornare attive, e ha respinto noi disabili con le loro famiglie agli anni cinquanta. Questi governi, con il consenso di forze politiche e Parlamento, come un rullo compressore, hanno raso al suolo quel minimo sistema di tutele sociali. Non vi sono più garanzie per i ceti medio bassi. Il sistema sanitario nazionale sta perdendo la sua universalità. Il diritto alle cure e alle prestazioni è regolato dal reddito e sempre più numerose sono le persone che rinunciano a curarsi. Il governo Monti ha posto come regolatore della vita delle persone più fragili, come disabili, anziani, pensionati un ISEE che è una ghigliottina, un vero cappio al collo che strozza, esclude dalla vita sociale, comprime la soddisfazione di bisogni vitali. Questa è la politica che ha portato alla negazione dei diritti dei disabili che, dovevano essere invece riconosciuti esigibili e intoccabili e che ha considerato vergognosamente, la disabilità come un privilegio, un simbolo di floridità economica, al punto che le persone devono pagare, con apposita tassazione fissata dall'ISEE, la soddisfazione di bisogni primari derivanti dalla loro non autosufficienza. Il governo è giunto a prevedere la riduzione o la cancellazione delle provvidenze come la indennità di accompagnamento, a considerare il cumulo dei redditi fra coniugi per espellere dalle prestazioni sociosanitarie milioni di persone che vivono di pensioni al minimo e di misere pensioni di invalidità che non consente di arrivare al decimo giorno del mese. E' la crudele politica del capitale che toglie a chi non ha e che ha rigettato noi disabili agli anni cinquanta cancellando di fatto tutta la legislazione che ci riguarda. La nostra penalizzazione, la demolizione dello stato sociale, con la cancellazione di prestazioni e servizi, è avvenuta anche sotto gli occhi delle lobby associative, per la loro blanda opposizione. I disabili e le loro famiglie che avevano delegato le grandi associazioni a rappresentare i loro interessi si sono trovati disarmati e senza tutele. Non vi è stata opposizione a una Europa dei mercati e della finanza. Anzi, in Italia, proprio per meglio aderire a questa filosofia, si è confezionato un governo ad hoc, quello di Monti che ha inaugurato la stagione dei grandi tagli lineari del sociale, giungendo ad azzerare le risorse per le politiche sociali e inventando un ISEE che nega di fatto le prestazioni sociali e i servizi prima di tutto alla totalità delle persone con disabilità grave e alle loro famiglie, lasciando intatte le grandi rendite, dei parassiti, dei ladri di stato, dei grandi manager, dei pensionati d'oro, i privilegi dei politici e delle caste di ogni tipo, i grossi evasori. Insomma, siamo alla solita politica alla rovescia: si fa pagare ai soliti. I nostri illuminati governanti pensano di risolvere la crisi soltanto tagliando diritti e risorse ai ceti mediobassi, anziché praticare una politica in grado di rilanciare l'economia con investimenti per alleviare la disoccupazione giovanile che ha raggiunto dati a due cifre. Questo tipo di politica ha avuto l'effetto di far crescere il numero dei poveri, trattare i bisogni della disabilità come se si trattasse di privilegi, di merce da acquistare al supermercato. Siamo al punto che molti rinunciano anche a curarsi per la impossibilità di accedere a prestazioni non più erogate perché a carico del cittadino. Inutile negarlo. Questa Europa non è la nostra Europa. Non è l'Europa dei popoli. E' urgente che la gente se ne accorga e si batta perché ritorni al centro della politica l'uomo con i suoi bisogni vitali. Un Paese civile si misura dalle risposte che dà al sociale ai cittadini più fragili, non dalla capacità di negare diritti a bisogni fondamentali di chi è meno fortunato. Un Paese civile è quello che garantisce un sistema di sicurezza sociale nel campo della salute, delle prestazioni e dei servizi sociosanitari, dell’assistenza, del lavoro, dell’istruzione. Civile è quel Paese che ai disabili offre tutele e sostegno e non tagli di diritti e conquiste, non disapplicando la legislazione sulla disabilità. L'Italia deve tornare ad essere un Paese civile e potrà esserlo se invertirà la disastrosa politica economica degna di un capitalismo disumano e selvaggio per garantire alle persone con disabilità e alle loro famiglie: 1. Uguaglianza dei diritti e delle prestazioni in tutto il territorio nazionale; 2. assistenza indiretta per tutti, che significa riconoscere e garantire alla persona con disabilità, la libertà di vivere a casa propria, di farsi vestire, imboccare, toccare, accompagnare, accudire, assistere, di far entrare in casa chi è di suo gradimento e non persone imposte d'ufficio; 3. la esigibilità dei diritti collegati alla disabilità e alle cure; 4. risposte appropriate ai bisogni della persona collegati alla disabilità grave; 5. l'ISEE non si applica per l'accesso a prestazioni sociali, sanitarie e di cura collegate alla condizione di disabilità. Non deve essere strumento per acquistare prestazioni e servizi non rivenienti da posizioni di privilegio economico. La disabilità non può essere tassata! e non può comportare ulteriori costi per la persona che non deve essere sottoposta a doppia tassazione come cittadino e come disabile. Se non altro per ragioni di equità e non discriminazione rispetto agli altri. Insomma l'ISEE per le persone disabili non deve essere la famigerata tassa di ottocentesca memoria sul macinato inventata solo per far soldi e frugare nelle tasche di chi ce le ha già vuote. Noi vogliamo una Italia degna di essere culla della cristianità, del socialismo, del diritto. Dobbiamo intervenire in prima persona e essere difensori dei nostri diritti, impedendo che i nostri bisogni diventino merce. Attenti amici, attorno a noi si aggirano sciacalli. Altri per noi stanno riscrivendo il welfare per restringere la platea dei fruitori per l'erogazione di prestazioni. Stanno edificando un welfare fondato sulle esigenze dei mercati, facendo della disabilità terra di conquista. Ci stanno consegnando nelle mani delle assicurazioni, delle fondazioni bancarie, delle associazioni, delle opere pie, delle lobby trasferendo tutto dal pubblico al privato. Stanno dirottando l'assistenza prevalentemente nelle mani del terzo settore e di società private. Si sta costruendo un welfare che non mette le persone, noi, al centro della azione politica, ma gli interessi economici! Le associazioni vogliono tornare ad essere come un tempo anche aziende di servizi, altri vogliono mettere le mani sul nostro welfare e farne un vero e proprio business. La verità è che hanno capito che noi procuriamo mercato: assistenza personale e domestica, riabilitazione, prestazioni sociosanitarie, assistenza infermieristica e medica, trasporti agevolati, strutture residenziali, costituiscono un mercato molto appetibile che fa gola a molti avvoltoi, alle associazioni dei disabili, al terzo settore e alla imprenditoria privata. Insomma è il grande mercato dei poveri ancora tutto da usare. Questo non dobbiamo consentirlo. Dobbiamo reagire con forza rendendoci protagonisti attivi, abbandonando lo sterile piagnisteo. Dobbiamo urlare forte che i privilegi da tagliare si trovano dalla parte opposta a quella dei disabili, dei senza lavoro, dei senza casa, dei giovani costretti a emigrare per lavorare, di chi rinuncia a curarsi perché senza soldi, degli sfrattati. Non dobbiamo delegare la nostra tutela a chi collabora con questa politica, a chi non mette al primo posto e insieme a noi quanto indicato nei punti qui riportati e pretende di parlare a nome dei disabili. Non dobbiamo sostenere chi fa il doppiogioco cercando di servire noi e i governi dei mercati e della finanza. Possiamo diventare attori del nostro destino solo se aderiamo alla libera rete dei disabili, di cui esiste già una base. Solo tramite questo strumento di partecipazione alla pari, saremo in grado di fermare sciacalli, avvoltoi, affaristi, parlamentari che aprono facilmente i cordoni della borsa alle lobby, elargendo gran mole di finanziamento pubblico. Assicurazioni, banche, tutti in coda e già indaffarati a costruire il nuovo welfare della disabilità e sanno di poterlo fare perché i disabili più informati stanno a guardare, e la stragrande maggioranza di loro non sa neppure cosa stia accadendo e cosa altri stiano preparando per loro. Non lo possono sapere perché ai giornali e alle televisioni del welfare non importa nulla, né intendono informarsi correttamente. Su di noi fanno solo informazione di denuncia, di cronaca. Siamo solo oggetto da cronaca nera. Se vogliamo uscire dall'angolo, se vogliamo far sentire la nostra voce, se vogliamo contare, dobbiamo con urgenza e in fretta rafforzare la libera rete per i diritti dei disabili, aderendo e facendo aderire le migliaia di piccole e medie associazioni, movimenti, organizzazioni di disabili e di loro famiglie. Per aderire inviare una mail a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. , indicando: nome della associazione, nome e cognome del presidente, finalità della organizzazione aderente e luogo in cui opera. Le singole persone possono aderire inviando la richiesta all'indirizzo e-mail sopra riportato, indicando nome cognome, codice fiscale, luogo di residenza. Abbiamo un bivio di fronte: agire o lasciar fare. Si tratta di scegliere in fretta perché loro stanno facendo in fretta. M.L. (24.07.2014)