Il settore bancario italiano è stato fino alla crisi finanziaria del 2008 uno dei più solidi del mondo, caratterizzato da grande stabilità e senza alcuna perdita nei rapporti bancari da parte dei risparmiatori non azionisti. La grande stabilità era assicurata dalla mano pubblica delle banche più grandi ed importanti, nonché dalla prevalenza assoluta dall’attività creditizia e dalla natura marginale dell’attività di investimento in titoli, esercitabile da soggetti dello stesso gruppo della banca di deposito e di crediti ma separati da questi. Il settore bancario, così configurato, ha finanziato e sostenuto lo sviluppo economico e l’economia intera. La liberalizzazione che ha investito tutta l’economia italiana non ha risparmiato il settore bancario, con le privatizzazioni anche delle banche pubbliche e con l’equiparazione a pieno titolo dell’attività di investimento in titoli a quella di deposito e creditizia. In pratica, l’impresa bancaria è stata equiparata a qualsivoglia impresa privata, dedita alla massimizzazione del profitto, trascurando la prudenza necessaria e, a monte, la peculiarità della prima non riconducibile alla seconda alla luce della circostanza che i suoi debiti sono mezzi di pagamento, in modo che ogni difficoltà del settore mette in ginocchio l’intera economia. Questa è stata la prima svolta: il settore bancario ha abbandonato la prudenza esponendosi a gravi rischi, anomali per esso. La situazione è rimasta sotto controllo, in quanto l’attività creditizia ha continuato ad essere redditizia, e l’attività speculativa in titoli in Italia non è diventata preponderante ed in ogni caso i suoi rischi sono stati traslati sugli utenti a causa di una normativa nel complesso protezionistica: comportamenti anomali delle banche nell’attività in titoli (casi Cirio, Parmalat, Argentina) hanno rappresentato un campanello d’allarme, ma nel complesso dalla portata non generalizzata. Banca d’Italia ha continuato ad assolvere ad una funzione efficace di controllo dei rischi sistemici e complessivi, anche se vi è stato pure qui il suonare fragoroso di un campanello d’allarme con comportamenti anomali del Governatore Fazio nelle vicende AntonVeneta e BNL, dove intenti protezionistici meritori sono sfociati in eccessi ingiustificati. La seconda svolta è stata la crisi del 2008, la più grave della finanza di tutti i tempi in cui, in America, il crollo delle banche creditizie immobiliari, a causa di mutui conferiti per importo pari al valore degli immobili a garanzia e così caratterizzati da inadempimenti di massa, ha avuto effetti esplosivi per l’essere i mutui oggetto di operazioni di cartolarizzazione dissennate collegate a strumenti derivati –la forma più speculativa della finanza-, che pertanto hanno portato ad una abnorme crisi di sistema. La crisi è stata ripianata con un intervento pubblico imponente, ma non si è fornita importanza adeguata alla circostanza che i derivati erano immessi nel mercato per importi di gran lunga superiori –nell’ordine di svariati multipli- al PIL mondiale e che pertanto erano ingestibili. Un intervento organico sui derivati non è mai stato prospettato e pertanto esce esaltata la centralità della finanza speculativa, che ha vessato e distrutto utenti, enti locali e altre banche (caso emblematico Monte dei Paschi) ed ha messo in ginocchio anche Stati sovrani deboli (Italia e soprattutto Grecia). Nel contempo, il settore immobiliare è caduto in crisi irreversibile per le vicende americane ed il settore industriale è entrato in difficoltà ed in ristagno anche per la riduzione delle risorse a proprio favore a causa sia dei costi sopportati per il risanamento del settore finanziario sia della centralità della finanza speculativa, il che ha inciso in termini pesantemente negativi sull’attività bancaria creditizia, esposta pesantemente in entrambi i rami. Pertanto, vi è stato lo spostamento di centralità dall’attività creditizia a quella speculativa, con lesione della stabilità della finanza e con sacrificio dell’economia reale e dei conti degli Stati sovrani deboli. Le banche piccole e medie non si possono permettere la finanza in titoli e speculativa, e così la crisi è diventata esplosiva. I margini di salvataggio si sono ristretti e Banca d’Italia ha visto fortemente ridotta l’efficacia della propria vigilanza alla luce della perdita dei poteri monetari a favore della BCE e del ridimensionamento di quelli di vigilanza a favore sempre della BCE. Come terza svolta, il colpo di grazia è stato inferto dall’Europa che, con la demenziale normativa “bail-in” e con la relativa fortissima limitazione dei salvataggi pubblici delle banche, ha fatto saltare 4 banche di città di provincia del centro-sud, a danno per la prima volta dei risparmiatori non azionisti nei rapporti bancari, il che ha provocato una crisi di fiducia ed una fuga di liquidità che hanno messo definitivamente in ginocchio il settore bancario. La crisi delle banche è diventata europea, in modo che si è tornati indietro sugli sciagurati passi della normativa “bail-in, per favorire il salvataggio delle banche dei Paesi forti ed adesso anche con il contributo dei Paesi deboli, i quali hanno pertanto dovuto subire il tracollo delle proprie banche e l’ingresso delle banche estere come padrone. In tal modo, con tre grandi svolte, si è consumato il passaggio da un’economia banco-centrica con un settore bancario solidissimo ed in grado di sostenere con successo l’intera economia reale al tracollo del settore bancario che ha aggravato la debolezza dell’economia reale. La ragione va ricercata nel liberismo che ha portato non a maggiore dinamismo del settore ma al trionfo illimitato della speculazione più selvaggia, rispetto a cui la tradizionale vigilanza di stabilità e protezionistica si rivela inerme, ed ha portato anche non al vantaggio ma al danno dell’economia reale. Il liberismo e la globalizzazione nonché l’integrazione europea hanno disintegrato lo Stato italiano, che non è stato in grado di tutelare le proprie banche, la cui crisi lo ha indebolito ulteriormente. Crisi delle banche e crisi dello Stato viaggiano insieme, “simul stabunt, simul cadunt”. La lettura della crisi delle banche è univoca, così come la via di uscita è altrettanto univoca: ma nessun passo si fa in questa direzione, continuando a restare in un circolo vizioso, come un drogato estremo che si cura iniettando dosi massicce della droga più pericolosa. Poiché insieme alla crisi bancaria ed alla crisi dello Stato viaggia anche la crisi dell’economia, senza però indebolire il capitale, di converso rafforzato, è ovvio che ci si trova di fronte ad una trasformazione grandiosa del capitalismo. L’analisi del passaggio in esame, qui condotta, vuole contribuire ad una ricostruzione di tale trasformazione dall’angolo visuale di un Paese marginale, mentre in altra sede si affronterà il fenomeno da un punto di vista globale. La visione marxista, unica in grado di comprendere la problematica, necessita peraltro di una profonda rivisitazione, nel momento in cui il profitto ha natura prevalente non più industriale –e nemmeno più commerciale-, ma finanziaria.
La Relazione annuale del neo-Presidente Consob Paolo Savona ha evidenziato il doppio elemento virtuoso dell’economia italiana, vale a dire la presenza congiunta di un altissimo livello sia di risparmi sia di esportazioni. Ciò potrebbe anche rendere, evidentemente se supportato da una politica economica conseguente, sopportabile un debito pubblico al 200% (del PIL). Ebbene, l’ottica è da politica dell’offerta, in modo da favorire l’industria vitale senza preoccuparsi della domanda interna -letture, pur autorevoli, tese a vedere in termini espressi un ancoramento dell’impostazione di Savona alla politica della domanda si rivelano del tutto forzate. Facile la replica che il collegamento tra sostegno alle esportazioni e tutela del risparmio richiede necessariamente un rafforzamento del sistema finanziario in termini anti-speculativi e così un forte intervento pubblico in termini di programmazione economica che comporta un’apertura sociale e così il sostegno alla domanda dei ceti deboli. La politica della domanda viene così recuperata, in via indiretta, ma in ogni caso inequivoca. Certamente, sull’ottica anti-speculativa, l’impostazione di Savona è timida e non coerente in quanto basata su profili quantitativi e di stabilità, trascurando profili qualitativi e di inibizione di prodotti intrinsecamente abusivi. Ma, in ogni caso, è la prima volta che dalla Consob -ed addirittura dalle Autorità “tout court”- si leva un discorso anti-speculativo. Il discorso va integrato in modo molto incisivo, in quanto nei termini in cui è stato proposto è del tutto insufficiente, ma almeno è stato introdotto. La speculazione, pacificamente sistematica ed endemica, costituisce, non una forma di aggiustamento dei -o comunque- sui-mercati, di cui impedire gli eccessi ma senza atteggiamenti contrari in via di principio, e tale atteggiamento non antagonistico era presente già in Keynes- ma la manifestazione dell’esplosione rovinosa della finanza. Il vero limite dell’ottica di Savona è l’appoggio, fornito non nella Relazione, ma in interventi collaterali, alle tendenze di chi -e si tratta non solo di esponenti, ma anche di interi settori, ed addirittura dell’opinione pubblica economica dominante e del potere economico- , di fronte a FCA e Mediaset ed a altri che si sono dislocati al’estero anche come sede centrale, vuol rendere l’Italia appetibile agli stranieri, in termini non solo fiscali, ma anche di norme societarie, rendendole più favorevoli al gruppo di comando (azioni a voto multiplo, etc.) ed a danno dei soci di minoranza). Così da un lato ci si arrende alla logica del grande capitale che non si limita a controllare l’economia, ma addirittura fissa le regole e si sostituisce allo Stato, mentre, dall’altro, il controllo della finanza diventa illusorio, nel momento in cui la forma di tutela degli azionisti di minoranza e dei risparmiatori, nelle operazioni strategiche ed in ogni caso in quelle relative alla struttura finanziaria interna della grande impresa è del tutto subordinata rispetto, alle esigenze di questa. Il vero è che la politica della domanda deve essere necessariamente provvista di elementi anticapitalistici, vale a dire di fortissima correzione delle dinamiche del sistema, e non essere neutra rispetto all’accumulazione capitalistica, da accettare solo a determinate e rigorosissime condizioni. Ciò richiede un cambiamento radicale e così Savona, certamente di per sé non anticapitalista, è prudente ed addirittura incerto per convinzione e per necessità. Ma almeno si muove, sia pur in modo incerto, nella giusta direzione. E’ la prima volta: è chiaro che la riforma dell’economia richiede non solo elevato un supporto teorico, ma anche una contrapposizione al capitale finanziario, senza quegli accomodamenti e quegli approcci moderati oramai privi di efficacia. Savona indica la strada e, in mancanza di rapporti di forza favorevoli, è costretto a ripiegare su approcci timidi, intrinsecamente privi di efficacia, ma che possono “a contrario” essere letti quale forma di denunzia. Quando il Saggio indica la luna con un dito occorre incentrarsi sulla luna e non sul dito: ed anche quando non si è d’accordo con il Saggio, e vi sono numerosi punti dialettici, come nel nostro caso, occorre sviluppare la dialettica sempre in relazione alla luna e non certamente al dito.
La Relazione annuale del neo-Presidente Consob Paolo Savona è stata esplosiva. La stessa ha evidenziato il doppio elemento virtuoso dell’economia italiana, vale a dire la presenza congiunta di un altissimo livello sia di risparmi sia di esportazioni. Ciò potrebbe anche rendere, evidentemente se supportato da una politica economica conseguente, sopportabile un debito pubblico al 200% (del PIL). Non sfugge al lettore attento, ma anche a quello disattento, che tale presa di posizione è propria non tanto di un Presidente Consob, quanto piuttosto di un Ministro dell’Economia. Ma occorre subito sgombrare il terreno da equivoci: poiché il Ministro dell’Economia ha, quali principali compiti, quelli da Ministro del Tesoro, una coincidenza parziale, o quanto meno un collegamento, vi è. Il punto di coincidenza/collegamento è rappresentato dalla necessità di abbandonare ogni presa di posizione che pretenda di tutelare il risparmio in presenza di un’economia nazionale in declino se non addirittura in situazione di disastro. L’impostazione di Savona è lucida e si concretizza nel tacciare di puro velleitarismo, quale pia illusione, il convincimento che la globalizzazione consenta di per sé un’effettiva salvaguardia del risparmio. Le dinamiche internazionali e la speculazione finanziaria rendono il risparmio alla mercé dei peggiori operatori: e qui Savona completa il distacco dal suo Maestro Guido Carli, che invece riteneva la libertà di movimenti finanziari sui mercati meritoria, in quanto tale da comportare alla fine un equilibrio intrinseco proprio delle economie aperte. Un’impostazione economica volta all’interno non è un cedimento al sovranismo, ma è semplicemente un limite non solo di buon senso ma soprattutto di rigore economico alla globalizzazione, che deve incontrare quindi un controllo ed una guida molto forti. Entrati in tale ottica, doverosa ed indefettibile, si può rimettere ad un approfondimento di politica economica la verifica critica di due punti decisivi, vale la natura secondaria attribuita all’alto livello del debito -con spunti in senso diverso solo accennati- e la preferenza conferita ad una politica dell’offerta, con il rafforzamento dell’industria esportatrice, rispetto alla politica della domanda. In tale approfondimento si potrà ed addirittura si dovrà proporre una forte politica di contenimento e di riduzione del debito coerente con la tutela del risparmio, vale a dire mediante un forte supporto al sistema finanziario interno affrontata magistralmente nella Relazione ma in modo parziale ed insufficiente- che va evidentemente rafforzato e non indebolito, e dall’altro inserire la tutela delle esportazioni in un’ottica sociale di rilancio della domanda interna. Ma si tratta di approfondimento che appartiene ai compiti di Ministro dell’Economia -anche il rafforzamento del sistema finanziario interno richiede una profonda scelta di politica economica- non coincidenti e non confinanti con quelli di Presidente della Consob. Per restare nell’ambito proprio della Relazione, è d’interesse l’assunto implicito sottostante all’impostazione ivi presente, vale a dire che non solo senza un rilancio dell’economia nazionale la tutela del risparmio è velleitaria ed impossibile, ma anche con detto rilancio dell’economia non si corre il rischio di sacrificare il risparmio, che ben può essere salvaguardato. Savona sviluppa abbondantemente il tema, sia pure in modo implicito, pensando ad una salvaguardia del sistema finanziario anche interno in termini di stabilità. Netto e decisivo il cambio di pagina rispetto a Nava, precedente Presidente della Consob costretto alle dimissioni in modo inammissibile, che esaltava la normativa “bail-in”, invece demenziale e disastrosa proprio a tal specifico fine. Ebbene proprio qui si presenta il vero punto debole dell’analisi, pur assolutamente magistrale, di Savona. La tutela del sistema finanziario pur interno viene affidata da Savona alla tutela della stabilità, anche in relazione al controllo della speculazione e degli strumenti derivati. Ciò è meritorio, ma parziale, in quanto il controllo della speculazione va condotto non solo in termini quantitativi, propri della stabilità, ma anche qualitativi -dove il discorso di Savona è francamente timido, con un solo rilievo pur fondamentale alla necessità della correttezza della formazione del “mark to market”, vale a dire il prezzo giornaliero-, per bloccare e neutralizzare prodotti e strumenti intrinsecamente rovinosi, e quindi per impedire lo svolgimento abusivo dell’attività finanziaria e bancaria, che è consustanziale e connaturato al dominio della speculazione e rende questa incontrollabile, con i controlli quantitativi, pur meritori, che diventano alla fine facilmente suscettibili di elusione. Discorso affascinante viene svolto sulle cripto-valute -e sull’economia digitale e sugli algoritmi- e sui titoli resi esenti da rischio a livello europea, ma questa è la parte di politica economica pura, e sarà affrontata in altra sede. In definitiva, per chiudere, una magistrale Relazione, ma lo scrivente, che è ostinato e caparbio, continua a ritenere che sarebbe stato molta migliore la presenza di Savona quale Ministro del Tesoro -con la speranza che qualcuno, nella sinistra antiliberista, potesse fungere da pungolo e contraltare dialettico- e di Marcello Minenna quale Presidente della Consob (cui aggiungere la Raineri quale Ministro di Grazia e Giustizia).