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IL “CORONA-VIRUS” E LA VULNERABILITA’ DELLA SOCIETA’ ATTUALE Featured

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Il “Corona-Virus” ha creato una situazione di contagio e così di preoccupazione e di allarme: nel contempo ha inciso sulla situazione economica ponendo le condizioni per metterci in ginocchio proprio economicamente, visto il blocco causato a taxi, alberghi, ristoranti, bar (in misura minore) viaggi, turismo e settori che lavorano con l’Estero. A Milano, per esempio, capoluogo della Regione più colpita, non si sa quale dei due elementi desti maggiore preoccupazione La prima preoccupazione, relativa all’aspetto più importante, non si è ancora diffusa (almeno fino a metà settima dal 2 all’8 marzo): in definitiva, si vive una situazione surreale e nel contempo di incredulità. Sembra questo il quadro vero della situazione, vale a dire di una società che si scopre all’improvviso e senza lucidità priva difesa: non si sa quali misure siano veramente in grado di combattere il “virus”. Si parta dai dati di fatto: il “virus” ha cominciato ad attecchire (rectius” si è scoperto ciò) in Italia a partire da venerdì 21 febbraio ed in pochissimo tempo le morti sono intorno a duecento mentre i casi di contagio sono di qualche migliaio e soprattutto aumentano a dismisura ogni tre giorni. Dopo la Cina l’Italia è uno dei Paesi più colpiti e comunque il più colpito dell’Occidente: è dipeso da maggiore disorganizzazione o da dislocazione geografica o da casualità? Nell’escludere la seconda risposta, visto che tale diffusione non ha investito i Paesi confinanti, la terza non è da escludere, ma apparentemente non è soddisfacente, in modo che la scelta più logica sembra propendere per la prima. Ma anche questa non regge alla prova della semplice evidenza: passi il confronto con Germania (dove sembra che si sia verificato il primo caso europeo) e con altri Paesi europei, ma è difficile ammettere la maggiore inefficienza dell’Italia rispetto a tanti Paesi intermedi tra Europa a Cina. Si potrebbe replicare che molti Paesi arretrati ed autoritari non diffondono dati effettivi: sarà, ma non si può escludere che tale opacità valga anche per altri Paesi non autoritari e non arretrati. In pratica, non vi sono elementi attendibili per escludere che la risposta vera, almeno in buona parte, sia riconducibili alla casualità. Ma è una risposta che non fornisce tranquillità in quanto tocca il vero punto nevralgico. Le morti sono molto limitate e l’età media dei morti è di 81 anni, e sembra che essi fossero in condizioni precarie: anche se è bene essere prudenti, si può anticipare che si tratta di morti con il “virus” e non di “virus”. Da qui ad affermare che ci trova di fronte a qualcosa di poco più di un’influenza –come da molti affermato all’inizio- ne corre, in quanto l’influenza è nota e sappiamo come gestirla ed evitare di prenderla, mentre nulla si sa del “virus”. Certamente, le prime settimane di intervento hanno prodotto risultati non banali di cura e di limitazione del contagio nelle zone più colpite), ma il livello di consapevolezza dell’effettivo stato della situazione sanitaria è ancora embrionale. E’ un pericolo non, “senza nome” come in un bellissimo giallo di Agatha Christie, ma “senza volto”. Il ruolo della casualità è fortissimo e ciò, oltre ad un ruolo autonomo moltiplica l’effetto di situazioni di inefficienza, certamente presenti soprattutto all’inizio. Il vero è che siamo stati colti tutti impreparati e lo siamo ancora in buona parte: l’impreparazione può –e deve- essere diminuita ma non sparisce fino a quando la medicina non arrivi a risultati attendibili non solo per le cure ma anche per la prevenzione, il che non sembra possibile a breve. Improvvisazioni e faziosità politica –la quale ultima ha caratterizzato tutte le forze politiche principali, anche se la Lega si è contraddistinta particolarmente in tal senso- vanno accantonate, come si è cominciato a fare da poco ma è un’illusione pensare che ciò basti. Le regole vanno dettate in modo più organico e devono essere seguite con senso di responsabilità ma è bene rassegnarsi alla necessità di convivere con il “virus” in tempi non brevissimi. Come? La risposta va lasciata ai medici. La politica deve limitarsi ad assicurare la parte logistica ed attuativa. L’unica cosa è che noi altri possiamo fare nel frattempo, oltre che rispettare le regole, è: aspettare, ovviamente senza disturbare il guidatore (questa battuta non è fuori luogo, come si vedrà in seguito). Problema fondamentale che occorre nel frattempo affrontare è quello economico, visto il terribile impatto almeno nelle aree più colpite, come visto sopra. Altra cosa, fondamentale, da fare è pensare sul senso del “virus”. La causa non medica del “virus” è da ricercare nella struttura della nostra società, struttura aperta, e con movimenti illimitati di persone e di merci e di altre componenti materiali. Il paragone con la peste nel Medio-Evo e nel Seicento non regge perché le società di allora erano chiuse e stanziali e la difesa era ben più agevole nonostante l’estremamente minore efficienza sanitaria. L’imputazione della causa non medica non va attribuita tanto alla globalizzazione quanto piuttosto correlata alla libertà assoluta individuale che è stata resa massima dalla globalizzazione ma che si è sviluppata anche in via autonoma (turismo, spostamenti individuali) ed è sfociata nel consumismo illimitato: ebbene, la libertà individuale illimitata pregiudica la sicurezza. La sicurezza è lesa e la nostra società è del rischio, come detto da illustri autori. Ma non è questo il punto decisivo: il vero è che il rischio non viene gestito, in quanto ci si preoccupa solo degli effetti economici. E’ questa l’essenza del capitalismo, che si alimenta della massimizzazione dell’accumulazione e del profitto: ma non solo, gli effetti economici si pongono in funzione non tanto di attività sistematica, coordinata ed organizzata, quanto piuttosto della capacità di cogliere di volta in volta, in maniera atomistica ed isolata, le singole occasioni lucrative, in un’ottica meramente speculativa e di trasformazione dell’impresa, da produttore organizzato a finanziere, anche quando opera in settori produttivi. L’attività sistematica, coordinata ed organizzata sussiste sì ma non in via intrinseca, bensì in via meramente strumentale alla capacità lucrativa che si manifesti volta per volta. E’ questo il capitale finanziario. Come conseguenza principale, l’enorme progresso tecnologico e scientifico non aumenta la sicurezza e la tutela della salute ma le mette a repentaglio. Ecco che un banale e non potente “virus” ha colpito senza trovare scudo e di fronte al quale si è totalmente impreparati. Siamo stati messi in ginocchio da un “virus”, partito dagli animali (i pipistrelli) e trasferitosi ad altri animali ed agli uomini, il che è un segno della trascuratezza nei confronti della natura, in quanto non produttiva e non portatrice di valore economico. Come ulteriore conseguenza è che l’economia, di fronte ad una crisi che l’ha investita, non solo non è in grado di trovare rimedi ma addirittura la aumenta a dismisura: basti pensare alla caduta verticale e gravissima delle borse: quella italiana ha perso circa il 20% ed al suo interno i titoli bancari hanno perso circa il 30%. Non ha senso domandarsi se la borsa abbia la funzione di drenare risorse verso le imprese produttive o invece quella di rendere istituzionalizzata, sistematica e di massa la speculazione, con l’aggravante in una degenerazione della seconda quale quella in essere dal 2008 della diffusione estrema delle operazioni abusive e rovinose (Grillo, su Parmalat, osservò acutamente che in Borsa si portano i debiti). Sono vere entrambe le cose, anche se il capitale finanziario non solo ha sancito la preminenza della seconda ma anche la ha istituzionalizzata trasformando la borsa non tanto in un’enorme bisca, come impropriamente affermato, incentrando così l’attenzione sui profili patologici soggettivi ed intenzionali, quanto piuttosto in una cassa di compensazione di operazioni speculative: ma il punto vero è che la borsa esalta, accelera e moltiplica gli effetti, positivi o negativi, di ciascuno dei due aspetti. In una fase negativa diventata patologica, la borsa ha un effetto devastante. Ma non solo: è facilmente desumibile da quanto sopra detto che il rischio sanitario più rilevante è quello dell’insufficienza degli impianti e delle strutture ad accogliere i soggetti colpiti in caso di aumento del contagio. Ebbene, ciò conferma che la scelta di abbassare a dismisura la spesa sanitaria e sociale, imposta dall’imperante liberismo, è stata scellerata. L’obiettivo di ovviare alla diminuzione di spesa pubblica per pensioni e di natura sanitaria con l’intervento della finanza e dell’assicurazione è illusorio: tale intervento può essere di natura solo integrativa, ma la parte preponderante deve essere pubblica. Ma non solo ancora: meccanismi non egualitari, tipici del capitalismo sfrenato, trovano dei profondi ed invalicabili limiti in presenza di fenomeni straordinari, e non è un caso che la zona più colpita in Italia sia la Lombardia, la più importante e la più ricca e con un sistema sanitario di eccellenza, non solo il migliore in Italia, ma tra i più avanzati in Europa e nel mondo; o meglio è proprio un caso, ma la casualità diventa irresistibile ed inarrestabile. E –nel chiedere comprensione per il gioco di parole- la circostanza dell’irresistibilità della casualità è d’altro canto assolutamente non casuale. La società aperta è ingestibile nel momento in cui si rinunzia a controllare i rischi. La soluzione non è la società chiusa, con una scelta nazionalista al posto della globalizzazione: la mobilità ha raggiunto punte massime che possono essere non impedite od anche solo limitate, ma controllate e gestite. Nella stessa ottica, gli interventi sulle libertà individuali e sull’economia che sono necessari non possono tradursi in un regime autoritario, come pur sembra inevitabile, anche non prospettato espressamente, in quanto la libertà individuale, sia pure in un’ottica consumistica ed a-sociale, ha raggiunto punte che non tollerano una marcia indietro. In definitiva, il dopo-contagio richiede il passaggio ad una nuova organizzazione socio-economica basata in ogni sua fase ed in ogni sua componente a mezzo sulla programmazione pubblica che coordini le libertà ed apporti ad esse limiti anche incisivi, a fini di salute e di ordine pubblico e di sviluppo e di stabilità dell’economia in un contesto universalista e quindi di diffusione della condivisione. La libertà individuale non può non restare ferma ma con coordinamento. Occorre in particolare passare da un’economia dissociata e finanziaria ad una sociale. La spesa sociale nella sanità, nelle pensioni e nei servizi essenziali deve ritornare a livelli alti. Il profitto è ammissibile solo a fronte di un valore aggiunto effettivo per l’intera economia: e ciò anche nella finanza che è il settore guida. Come non si può fare a meno di evidenziare, nel richiamarsi a Rosa Luxemburg: il “virus” conferma che l’alternativa è sempre quella di cent’anni fa: “o Socialismo o Barbarie”. Ma senza addentrarsi nei meandri di una transizione globale, dalla complessità tale da richiedere un lungo lasso temporale, e nel soffermarsi invece su un approccio gradualista, occorre ribadire che è necessaria una rinascita con profonda riforma della politica, la quale sia così messa in grado di introdurre la programmazione. Due punti generali devono essere al riguardo evidenziati: in primo luogo, la lotta al “virus”, così come ogni intervento straordinario, richiede –come tutti implorano- unitarietà tra tutte le forze politiche. Ebbene, l’unitarietà tra tutte le forze politiche alla fine conduce alla riduzione, se non addirittura all’eliminazione, del conflitto politico e del pluralismo. Lo scenario è quello dell’autoritarismo con un supremo interesse che richiede alla fine la necessità di non mettere mai in discussione il potere politico e quello economico. La politica deve invece (tornare a) essere divisiva, con unitarietà circoscritta alle regole ed alle restrizioni alle libertà individuali. In questo gravissimo momento, la sinistra vera deve manifestarsi nell’arrecare sostegno alla società costernata e nell’aiutarla ad organizzarsi nei rapporti necessari anche se ridotti ed a sopportare le limitazioni: accesso ai beni ed ai servizi essenziali, agevolazioni anche finanziarie per trasporti essenzialmente individuali, supporto a tutti per comunicazioni, colloqui e riunioni anche a distanze. Dall’individualismo sfrenato ed incontrollato solo la società organizzata ma non coartata può consentire il passaggio ad un individualismo responsabile. In secondo luogo: la politica adesso è volontà di potenza sfrenata, con l’apogeo nel Medio-Oriente. Il “virus” ha in qualche modo limitato le punte estreme. Ma occorre un intervento globale: la lotta alle calamità non può non richiedere una limitazione fortissima dei conflitti militari, che provocherebbero altrimenti una diffusione capillare ed estrema delle stesse calamità. Ma non basta ancora: l’intensificarsi della spesa sociale non può non richiedere una riduzione estrema delle spese militari. I conflitti internazionali devono essere affrontati e risolti non con la forza ma con il diritto internazionale. La politica da organizzazione della forza si deve trasformare in organizzazione del coordinamento e del consenso responsabile tra diversi Stati. Quanto sopra detto sembra un’utopia ed una velleità, ma all’esatto contrario è un’assoluta necessità: la politica assoluta, con la centralità della conquista del potere e da cui conseguono aggressività esterna, militarismo, lesione di diritti sulla base di situazione di eccezionalità e passaggio dalla divisione e dalla lotta alla guerra (la famosa teoria “amico/nemico” di Carl Schmitt): tale soluzione è impossibile in presenza di calamità. Mentre la calamità può essere transitoria la salvaguardia da essa diventa duratura. L’abbandono della politica assoluta e la conseguente trasformazione della politica sono inevitabili, oltre che necessari.