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LA POLITICA DOPO IL “REFERENDUM” Featured

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Il “referendum”, con la grandiosa vittoria del no, ha provocato uno sconquasso, vale a dire non solo le dimissioni di Renzi, già preannunziate, ma anche una crisi politica. Per prima cosa occorre respingere l’addebito di tale sconquasso al fronte del no, che si è limitato a respingere una modifica costituzionale sbagliata e autoritaria, o meglio così ritenuta, a torto o ragione (e lo scrivente si è impegnato per dimostrare la ragione della tesi), e il popolo sovrano si è schierato a favore di detta tesi: Renzi, già prima del voto, aveva deciso di legare il suo destino a quello del “referendum”, con una scelta anomala e dalla dubbia ammissibilità, in quanto il Governo deve operare su fiducia del Parlamento e nell’ambito della Costituzione mentre una sfida plebiscitaria sulla Costituzione sembra prospettare un cambio di sistema, con il “Premier” che si appella al popolo legando tutto, e pertanto anche l’’indirizzo politico, alla Costituzione e che pertanto pone gli equilibri politici, ed anche il proprio indirizzo politico, al di sopra della Costituzione stessa e non al di sotto. Per inciso, nell’Occidente vi è un solo caso di condizionamento ad un “referendum” costituzionale delle intere sorti politiche e si tratta di De Gaulle nel ’70, ma nell’ambito di ben altra situazione, con il ’68 appena scoppiato a sinistra e con tossine a destra non ancora smaltite dopo la fine della Guerra d’Algeria. E poi Renzi non è de Gaulle, che fece identificare in sé la Francia, avendola comandata dall’estero durante la seconda guerra mondiale e riuscendo dopo ad imporre la fine della Guerra d’Algeria anche a costo di farsi odiare dagli ambienti di destra e militari a lui vicini: Renzi invece è diventato Capo del Governo dopo aver vinto le sole primarie del Pd, ha poi ottenuto un grande successo alle elezioni europee e una cocente sconfitta alle elezioni comunali, e da Capo del Governo ha impresso una guida dinamica ma dalla portata complessiva modesta: è semplicemente un giovane politico dalle grandi speranze, negli ultimi tempi ridimensionate, ed un atteggiamento alla De Gaulle o comunque da Padre della Patria sembra fuori luogo ed a metà tra il ridicolo ed il patetico. L’Italia è in crisi in conseguenza della scelta sciagurata di Renzi. “Chi è causa del suo mal……….”. Che il popolo sovrano non possa scegliere in libertà la propria Costituzione che spetta poi alla maggioranza attuare è un’idea frutto di una mente che non si vuole qualificare per non cadere in ipotesi di diffamazione: se la maggioranza si sfalda solo perché non le è gradita la scelta popolare, è evidente che è una maggioranza inconsistente o irresponsabile. Od addirittura un misto di entrambi gli aspetti. Renzi fa lo spiritoso con la componente di sinistra del fronte del no evidenziando che questa ha fatto cadere il Governo Renzi creando le condizioni per un governo di larghe intese con il centro –destra, ma è uno spirito che si scontra con un dato insuperabile, vale a dire che non vi è niente da ridere. Renzi, una volta che ha scelto che la sua maggioranza non ha ragione politica, e deve andare alle elezioni, per tentare di conquistare la maggioranza ha un’alternativa: o insiste su una legge maggioritaria ed allora deve tentare un accordo con la componente moderata del centro destra, per poter puntare ragionevolmente sulla maggioranza relativa quale condizione necessaria e sufficiente per ottenere la maggioranza assoluta, oppure deve virare a 180 gradi sul proporzionalismo e così allearsi con il centro-destra nel suo complesso, privato della Lega e di Fratelli d’Italia, con risultati non dissimili dalla prima opzione, con la differenza rappresentata da un predominio netto del centro-sinistra o da una pari dignità. Per inciso, l’unico elemento certo è che il ballottaggio con il doppio turno va abbandonato in quanto il rischio della vittoria dei 5Stelle al doppio turno è troppo forte. E ciò perché la componente radicale di destra e quella radicale di sinistra al secondo turno Renzi non lo voteranno mai. Il 40% a favore del sì al “referendum”, ammesso che si travasi automaticamente in un voto politico favorevole, ed al riguardo molti dubbi possono essere nutriti, non avrebbero alcun valore in un doppio turno: d’altro canto, con una legge maggioritaria a turno unico il 40% sarebbe utile, ma senza un’alleanza almeno con la componente moderata del centro-destra le alee sarebbero eccessive. Ed addirittura, si può azzardare che la situazione non sarebbe cambiata in caso di vittoria del sì, in quanto il ballottaggio con doppio turno come con l’”Italicum” sarebbe dovuto essere abbandonato in ogni caso: Il trascinamento di una vittoria del sì non sarebbe andato oltre il 40% ed i rischi di un mancato raggiungimento di tale soglia –oltre al quale si evita il doppio turno con l’”Italicum”- sarebbero stati in ogni caso troppo alti. Chiuso l’inciso, Renzi non faccia troppo il furbo e non addebiti alla componente di sinistra del fronte del no una scelta centrista a favore del grande blocco che costituisce lo sbocco inevitabile della sua politica. L’atteggiamento del bambino bizzoso che non accetta lo sconfitta e vuole mostrarsi più abile degli avversari, mettendoli alle strette con il ricatto, istituzionale sulla riforma elettorale, e politico, sulla fine della legislatura, facendo pagare al Paese gli effetti della sua cocente sconfitta, con punte degne di un comportamento alla Coriolano che suscita non rabbia ma profonda tenerezza, appartiene di certo al profilo dell’uomo ed alla sua pochezza politica, ma è anche una sceneggiata per coprire le ragioni della svolta di inciucio con il centro-destra già scelta e da tempo inevitabile – e la situazione non sarebbe stata diversa in caso di vittoria del sì-. Il vero ed unico avversario di tale grande blocco è costituito dai 5Stelle. Da un punto di vista politico, il “referendum” ha legittimato definitivamente i 5Stelle quale unica forza alternativa al grande centro in cui confluiranno il centro-sinistra e la parte dominante del centro-destra. E’ qui si snoda la portata di merito del no, portata di merito che si tenta goffamente di nascondere ed esorcizzare. La scelta inequivocabile del popolo italiano per il costituzionalismo, per una democrazia piena ed effettiva, e per il pluralismo, è una smentita del populismo. I 5Stelle che incarnano in modo genuino la protesta popolare, devono comprendere che perché il loro successo –inevitabile salvo forzature istituzionali ed autoritarie- non sia effimero occorre un forte radicamento nel popolo italiano e pertanto collegare la protesta popolare al rinnovamento ed al potenziamento delle istituzioni di democrazia parlamentare, rappresentativa e pluralista, e così (devono) abbandonare aspetti ciechi ed indifferenziati della protesta, ed anche su un piano squisitamente istituzionale abbandonare l’utopismo della democrazia diretta da accogliere solo quale integrazione di una democrazia rappresentativa, vale a dire (devono) svincolarsi dal populismo per assumere una veste di popolarismo costruttivo e non meramente protestatario. Lo spazio per un accostamento con la sinistra antiliberista, che ha abbracciato pienamente e con entusiasmo non più reversibili la bandiera del costituzionalismo, vi è ed è veramente ampio. Non vi è un percorso lineare in quanto il Movimento 5Stelle ha una caratterizzazione populistica non facilmente suscettibile di riconversione ed inoltre non è riconducibile alla sinistra essendo a-politica: anzi, vi è anche uno spazio per sinergie con la Lega Nord, movimento populista di destra con forte ancoramento popolare per la tutela del localismo e del territorio dalla globalizzazione, dalla grande finanza e dalla fallimentare Europa; i 5Stelle sono finora riusciti d resistere ad ogni tentazione di svolta a destra come invece nel resto dell’Europa ed in America e ciò costituisce la ragione della grandezza del Movimento e la migliore garanzia della più completa anestesia nei confronti di qualsivoglia pericolo di svolta autoritaria. Ma da qui ad una convergenza con la sinistra il passo è lungo, forse troppo. Ed infatti, la grandezza del Movimento è stata anche quella di rifiutare ogni supporto a Bersani nel 2013, ed il rifiuto fu molto criticato a sinistra –anche dallo scrivente- ma fu la migliore garanzia di un populismo puro del Movimento. Ma se si passa dalla protesta alla proposta, e ciò è necessario se si vuole presentare una vera alternativa al grande centro informe, occorrerà introdurre dei contenuti, e sul piano del costituzionalismo ove di natura squisitamente e genuinamente popolare l’incontro con la sinistra antiliberista è inevitabile. E’ un incontro e non un abbraccio e la profonda distinzione di impostazione, posizioni e contenuti resta ferma, ma è anche un avvio di collaborazione che può diventare proficua e stabile se la sinistra antiliberista comprende la necessità di un profondo cambiamento nel senso di raccogliere le istanze popolari in modo meno preconcetto, restando peraltro di sinistra, egualitaria, sociale e socialista s’intende, e se il popolarismo puro dei 5Stelle si caratterizza in senso sociale, vale a dire se sotto il popolo cerca la natura sociale incontrando così inevitabilmente la classe. Già alle prossime elezioni il discorso diventa importante, ma anche molto delicato, in quanto i 5Stelle possono aggregare a sé sia il populismo di destra sia la sinistra antiliberista e costituzionale, e la ricerca di un terreno comune presenta dei nodi che è bene affrontare da subito (come lo scrivente tenterà di fare nei prossimi giorni fino alle elezioni). La sinistra antiliberista può presentarsi in un’ottica non minoritaria se riesce a comprendere le ragioni del profondo disagio sociale ed a farsene interprete, il che è nelle sue corde. I commentatori vicini al renzismo hanno identificato nel disagio sociale la vera ragione della sconfitta di Renzi, mentre la difesa della Costituzione sarebbe irrilevante -per tutti l’ineffabile D’Alimonte che adduce a conforto la maggioranza del sì in alcune grandi città e soprattutto nei quartieri del centro-. E’ un argomento meschino di chi non vuol accettare la sconfitta sul piano del merito dove ha sostenuto la riforma, ed è bene invece che si metta l’anima in pace di fronte alla reiezione della stessa da parte del popolo. Altre ragioni, pur presenti, sono aggiuntive in quanto Renzi ha posto la questione su un ammodernamento delle istituzioni contro chi lamentava una tendenza autoritaria dietro (“rectius”, dentro) l’ammodernamento. Ritenere ora priva di rilievo tale posta appare l’auto-giustificazione meschina di chi ha perso e non accetta la sconfitta. Ma la discussione non è irrilevante sul punto: il disagio sociale pone in risalto la natura fallimentare della politica economica del Governo ma a seguire a stretto giro evidenzia che il costituzionalismo di sinistra, “rectius” della sinistra antiliberista, può collegarsi con la protesta sociale e, se non è ancora in grado di dirigerla, può peraltro già fornirle dei profili non banali di indirizzo.
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  • Last modified on Monday, 12 December 2016 15:15