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LA SINISTRA E’ MORTA: VIVA LA SINISTRA!!! Featured

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La sinistra è morta: lo si sapeva dal 2013, quando i voti in libera uscita dal Pd scavalcarono sia Sel e lo schieramento di Ingroia –la prima alleata dallo stesso Pd, il secondo alternativo- per indirizzarsi verso i 5Stelle. Il significato era chiaro e faceva giustizia di leggende metropolitane già allora sorte, secondo cui, a seconda della visuale, veniva penalizzato ora un eccesso di timidezza verso il Pd ora una posizione estremistica. Sia che si fosse in grado di proporre un governo in alleanza con il centro-sinistra, sia un’alternativa, i lettori non consideravano la prospettiva di sinistra di interesse. Era un dato sgradevole, anzi agghiacciante, ma inequivocabile: qualsivoglia progetto di sinistra si rivelava non appetibile. Ma ora, con le elezioni di marzo 2018, bisogna chiarire: la morte della sinistra è nel risultato negativo di LeU, non in quello del Pd. Il Pd, liberista e moderato e che ha accettato in pieno il dominio del capitale finanziario senza proporsi non solo in termini alternativi, ma neppure correttivi, non è più di sinistra, mentre l’unico Polo si sinistra, quello di LeU, è rimasto anch’esso clamorosamente sconfitto Il liberismo non è progressivo ma è funzionale ad un sistema arbitrario e rovinoso. Ebbene, la fuga di voti da un centro-sinistra tale solo in apparenza ma in realtà solo di centro e non più di sinistra ha avuto quale destinatario non la sinistra ma i populisti. Questo è il vero punto. E’ finita la lotta di classe: non è solo che la lotta di classe l’abbiano vinta i capitalisti, il che ci sta e non esclude la possibilità di un ribaltamento fino alla nostra vittoria finale. Il vero problema è che la lotta di classe sia stata abbandonata dalla classe lavoratrice, in quanto il capitale finanziario, con la dematerializzazione e la globalizzazione, ha eliminato la fabbrica come centro di coagulo che era non solo di localizzazione ma anche di lotta e così di interessi. E’ stato un disegno lucido quello del capitale ma anche fittizio, in quanto la localizzazione, una volta resa secondaria, e non più centrale poteva bene essere sostituita con altre forme di coagulo. Ciò è mancato ed il disegno lucido ha vinto senza alcuna difficoltà e senza alcun ostacolo. La classe lavoratrice ha perso la lotta per abbandono di campo. La sinistra è finita. Ma si tratta di una fine che è propria di una fase di totale disperazione, anche in campo avverso. Il capitale, distruggendo il suo avversario, è finito con l’avvilupparsi in un’ottica di autoreferenzialità che ne ha esaltato gli aspetti distruttivi, rovinosi ed arbitrari. La lotta di classe è il motore della Storia, come insegnato da Marx: non solo alla fine consente il passaggio a rapporti di produzione superiori ma anche, prima di ciò, consente il mantenimento costante in tensione e sol così in efficienza di quelli in essere. I commentatori moderati non hanno compreso la situazione: vedono la fine della sinistra nell’impossibilità di ricorrere alla spesa pubblica sociale da un lato e dall’altro nella pressione sulla classe lavoratrice da parte degli immigrati (Antonio Polito). Sul primo punto, è evidente che si trascura che non è un problema economico ma politico in quanto i mezzi ci sono, semplicemente vengono destinati a coprire gli scandali finanziari ed a sostenere il capitale finanziario che distrugge risorse con la speculazione selvaggia e continuativa. Sul secondo punto, la sinistra con il suo universalismo si è gettata meritoriamente sui diritti ma ha dimenticato il risvolto sociale, con la creazione dell’esercito industriale di riserva: di qui l’abbandono della sinistra da parte della classe lavoratrice e dei ceti deboli: ma ciò dipende non dalla migrazione, visto che il ricorso all’esercito industriale di riserva è una caratteristica costante del capitale, bensì dalla rinunzia della sinistra a tutelare i lavoratori contro il capitale, nonché dal venir meno dal suo antagonismo –non necessariamente rivoluzionario, almeno a breve-. Occorreva riprendere l’antagonismo con la conseguente necessità di aggregare alla classe lavoratrice i disadattati e la borghesia non grande ormai privata del suo ruolo. Ma non solo: Il moderatismo è preda di una lettura generale dell’attuale momento che è inficiata a propria volta di un errore clamoroso: vede la crisi della società aperta di Popper, ma trascura che la società del liberismo e del capitale finanziario non è aperta e si basa sull’abusività e sul disastro ed è autoritaria, all’interno ed all’esterno, come dimostrato sull’ultimo aspetto della circostanza che il Paese occidentale più importante si è affidato a Trump, che sembra la brutta copia del Dottor Stranamore. La sinistra è morta, ma è morta perché è morta la politica ed è morto il razionalismo occidentale, basati su fondamenta di argilla, e non è risuscita a sostituirli. Parlare di possibilità di autocorrezione del sistema, con riforme non radicali, come sostengono alcuni intellettuali di sinistra a metà tra il moderatismo e l’antiliberismo quale Salvatore Veca, è frutto di illusione. Le fondamenta necessitano di correzioni profonde ed idonee ad introdurre elementi di socialismo nell’ambito di un capitalismo pianificato e sociale. Ma il sistema è così forte e gli avversari così deboli che ogni ipotesi di correzione profonda appare esclusa. Correzioni timide sono palliativi ininfluenti. Da qui la vera comprensione della realtà che i voti di protesta hanno scavalcato la sinistra per confluire nel populismo, cioè nella protesta pura ed intransigente. Il moderatismo svaluta la protesta pura ed intransigente, qualificandola come cieca e senza costrutto e come idienea al Governo in quanto tale da promettere misure impossibili quale il “reddito minimo garantito”. La critica è del tutto erronea. Innanzitutto il populismo di destra non promette misure irrealizzabili ma prospetta interventi rientranti nella “rivolta fiscale” dei ceti abbienti, come la “flat tax”, misure del tutto realizzabili come dimostrato da Reagan, Thatcher e da Trump. Prospettano il protezionismo e l’antieuropeismo che sono compatibili con il capitale finanziario e con la globalizzazione, come mostrato da America ed Inghilterra. Il punto è che sono possibili nei Paesi forti e non in un Paesi debole come l’Italia, ma qui si entra in un problema politico e non economico: il populismo di destra dei Paesi deboli vuole ridisegnare la geopolitica, e non è quindi irrealistico. Il populismo puro dei 5Stelle, vale a dire senza tentazioni nazionalistiche e razziste, propone misure avveniristiche, ma la critica da parte del moderatismo è non centrata. E’ una critica che crea un’indebita commistione e sovrapposizione di piani tra populismo e demagogia, trascurando che se ogni forma di populismo è demagogica, non è vero il contrario e non ogni demagogia è populistica. Il grande centro in Europa promette un universalismo economico e sociale ed anche politico ed un’estensione dei vantaggi economici dalle classi agiate a quelle meno protette che l’attuale sistema non è più in grado di mantenere. La globalizzazione e l’Europa sono mere sovrastrutture di giustificazione del dominio del capitale e sono prive di sostanza e di effettività, nel senso che sono reali ma solo a senso unico. Il populismo è una protesta contro un sistema in disfacimento ed ha quindi una forza innegabile che non può essere esorcizzata con critiche capziose. Il vero nodo che il populismo presenta è se la protesta sia in grado di correggere il sistema. Qui il populismo presenta dei punti deboli in quanto per rispondere in modo positivo alla domanda dovrebbe essere in grado di organizzare la protesta, il che al momento è alla fase solo embrionale. Replicare all’autoreferenzialità del sistema parlamentare ed alla sua incapacità di vera rappresentatività con una mitica democrazia diretta vuol dire rinunziare ad una riforma del Parlamentarismo. In campo economico, misure come il “reddito minimo garantito” sono preziose in quanto se unite a forme di tassazione dei ceti alti possono costituire un disincentivo nei confronti del capitale dal continuare nella disoccupazione e nell’utilizzo indiscriminato dell’esercito industriale di riserva per spingere i lavoratori ad abbassare le pretese economiche e normative, e per questo devono essere condizionato, vale a dire concesse fino a quando non si realizzi per ciascun beneficiario un’alternativa lavorativa realistica. Ma sono misure velleitarie od addirittura strumentalizzabili ed utilizzabili dal capitale come indennizzo a fronte della disoccupazione e quindi senza alcuna correzione di sistema. Per essere efficaci, devono rientrare in un coerente progetto antiliberista. Il populismo non è preparato a questa doppia sfida: - di una rivitalizzazione della democrazia parlamentare per farla diventare veramente rappresentativa e volano della sovranità popolare, in modo da creare un “sovranismo” non incompatibile con forme di governo sovranazionali ma addirittura preparatorio rispetto ad esse; - di un programma economico antiliberista, di pianificazione e sociale. Non è preparato perché tale sfida richiede un approccio riformista anticapitalista, che imponga delle correzioni drastiche, proprie solo di chi pensa che il capitalismo vada rovesciato, ma si rende conto che per decenni se non per secoli ciò è impossibile. Tale riformismo non è impossibile in quanto settori della media ed anche dell’alta borghesia, quali da un lato le banche non collegate a banche di investimento e dall’altro imprese diverse da quelle grandissime sentono l’inadeguatezza del capitale finanziario, che li penalizza fortemente, e potrebbero collaborare, al limite anche solo su pochi punti qualificanti, con un progetto antiliberista. La sinistra antiliberista, riformista ma di impronta marxista, anche in un momento di sua residualità, fino a quando non sarà in grado di riproporre la lotta di classe, ha un ruolo insostituibile di indirizzo del populismo secondo tali linee. Purtroppo, al momento manca una sensibilità del genere, anche in LeU. Da un punto di vista economico, nonostante che lo scrivente, evidentemente dotato di “vox clamantis in deserto” solleciti continuamente un indirizzo in tale direzione, manca un programma economico antiliberista sistematico e coerente. Il rischio è che ci si limiti a rivendicazionismi od a una logica di diritti, pur ineccepibile, quale quello che vuole ripristinare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, e pertanto che il dialogo tra sinistra antiliberista e populismo avvenga in una ottica solo redistributiva o addirittura di rifiuto del lavoro: in ampi settori della sinistra radicale (anche all’epoca in SEL dove lo scrivente fu costretto a Milano ad abbandonare i gruppi di lavoro economici perché caratterizzati in tal senso) il reddito minimo di cittadinanza universale garantito in modo incondizionato viene richiesto in modo ossessivo. Battista, sul “Corriere della Sera” evidenzia che Grillo evoca Marx, quello di una famosa frase dei “Grundisse” dove si esaltava il tempo libero (citazione improvvida in quanto Marx sosteneva a gran dove l’introduzione di rapporti di produzione basati sulla socializzazione e non sul consumismo e sull’ozio): è da replicare che la sinistra antiliberista deve essere per la liberazione del lavoro e non dal lavoro. Parimenti, l’ecologia è fondamentale come caratteristica dello sviluppo economico e non come rifiuto dello sviluppo (basti pensare alla teoria della “decrescita”, e qualcuno sostiene che spunti del genere sono contenuti in Marx !!??!!). Da un punto di vista politico, il rifiuto del maggioritario a doppio turno, costante a sinistra, presuppone un rifiuto ad un programma forte: si favoriscono alleanze con il centro. Ma non solo: prima Renzi e Berlusconi , ora Salvini e Di Maio insistono sul valore della maggioranza relativa in grado solo per questo di diventare maggioranza assoluta. Ed invece, non solo in uno scenario tripolare la maggioranza relativa non ha senso in quanto non è detto che gli elettori del terzo polo intendano scegliere il primo invece del secondo: ma in ogni caso una minoranza critica quale quella della sinistra antiliberista può condizionare l’orientamento dei populisti puri solo con il doppio turno, dopo aver ottenuto una rappresentanza consistente al doppio turno, mentre con il turno unico viene penalizzata dal voto utile, come si è visto con le ultime elezioni.