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LA POLITICA ED IL CONFLITTO CONSIDERAZIONI PRELIMINARI Featured

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Il conflitto è elemento essenziale della politica ed è anzi la sua ragion d’essere: la politica è conflitto per il potere e questi comporta composizione in via di autorità del conflitto nonché monopolio legittimo della violenza di fronte ai conflitti patologici. Non vi è politica senza conflitto: il conflitto origina la politica e la politica gestisce tutte le forme di conflitto. La politica come soluzione d’autorità –ora di natura legale e democratica- dei conflitti, risponde ad una logica di realismo che esclude qualsivoglia ipotesi di conciliazione dei dissidi, vale a dire di unificazione della società e di eliminazione degli stessi conflitti. La concezione realista della politica accetta il pluralismo a livello politico, economico e sociale, contrastando i conflitti disgreganti e patologici. In tal modo, la concezione realista della politica va oltre e concretizza una precisa scelta di campo di natura proprio politica: non si limita ad elaborare una teoria generale della politica, ma sceglie tra le parti in contesa. L’accettazione del conflitto porta infatti tale concezione a considerare la differenziazione di potere, di classe, economica e sociale, quale ineliminabile, con la conseguenza che essa si schiera inevitabilmente con chi detiene il potere politico, economico e sociale, vale a dire con i gruppi privilegiati. Siffatta scelta di campo viene posta in essere a difesa del conflitto, che sarebbe eliminato dall’incidere su tale differenziazione e pertanto da ogni pretesa di eguaglianza oltre un certo limite. Le diseguaglianze possono essere attutite e limate ma l’intervento su di esse non può non essere assolutamente limitato e marginale. A monte della difesa della differenziazione tra gruppi vi è, a ben vedere, un parallelismo tra potere politico da un lato e dall’altro potere economico e sociale. La differenziazione di condizioni economiche e sociali è una conseguenza indefettibile della distinzione tra chi esercita il potere e chi è ad esso soggetto. Il potere viene così fondatamente trasferito dal piano politico a quello economico e sociale e posto a base di tali due settori. Le commistioni tra teoria generale della politica e scelta di campo inficia la prima e le leva ogni base scientifica. La teoria realista della politica non salvaguardia la differenziazione tra gruppi “tout court” ma esclusivamente quella tra chi esercita il potere e chi è ad esso assoggettato. Ebbene, essa è cosi intrinsecamente antipluralista e totalitaria in quanto ammette il conflitto solo nei ristretti limiti in cui non incide sul potere e non lo limita in modo eccessivo. Con il divieto di conflitti disgreganti, in realtà si inibiscono tutti i conflitti che mirano ad incidere sul nucleo centrale del potere, ponendo le condizioni per rendere disgreganti tali tipi di conflitto e poi impedendo loro di esplicarsi: ciò ricorrendo a modi non necessariamente illegali ed antidemocratici, basti pensare alla politica monetaria ed alla politica fiscale e più in generale economica per bloccare i conflitti economico-sociali, tra cui spicca l’uso distorto dell’inflazione e del debito pubblico. Il ricorso all’autoritarismo, sotto forma di stato di eccezione, diventa in quest’ottica la chiusura del cerchio. La contestazione di totalitarismo viene respinta dai sostenitori della concezione realista della politica sulla base del bilanciamento tra potere sociale ed economico da un lato e potere politico dall’altro, ma è un bilanciamento del tutto fittizio, in quanto la divergenza tra potere politico e potere economico appartiene al libro dei sogni: i tentativi della sinistra non moderata sono sempre stati riassorbiti e la sinistra moderata è stata sempre omologata (Riccardo Lombardi, grazie per sempre per esserTi rifiutato –al fine di evitare ciò e di battersi dall’esterno- di entrare nel primo Governo di centro-sinistra respingendo addirittura la carica di Ministro del Bilancio). A dire il vero, i sostenitori della concezione realista della politica si rifugiano dietro al dogma liberista che il mercato sia l’arbitro delle decisioni economiche e che il potere economico sia solo un pungolo: il dogma è stato costruito a partire dall’identificazione dell’impresa con l’iniziativa economica individuale, e si tratta di identificazione esatta ma parziale e non totale, in quanto il potere è aggregazione dei fattori dell’offerta in funzione delle esigenze della domanda con la conseguenza precipua che la stessa è di per sé potere e non solo impulso e non solo iniziativa. A tale considerazione si deve aggiungere che il potere di impresa non trova un ragguardevole limite nel mercato in quanto i comportamenti degli imprenditori sono in grado di grado di guidare e di indirizzare il mercato con collusioni tra di loro e con devitalizzazione del ruolo dei consumatori: ciò anche a non considerare il passaggio dal capitale concorrenziale a quello oligopolistico/monopolistico ed addirittura da quello industriale a quello finanziario; quest’ultimo passaggio ha spostato il peso dalla produzione alla speculazione ed alle strategie di potere dei colossi, rendendo il mercato una mera espressione lessicale. Esso mercato non è più neppure un’astrazione dalla realtà, in quanto è totalmente avulso dalla realtà, mentre l’astrazione è un esercizio intellettuale arbitrario -tranne che nell’astrazione determinata- quale generalizzazione con la conseguenza che un contatto con la realtà vi è sempre, sia pur solo minimo e come punto di partenza. Si può concludere che la concezione realista della politica è non solo priva di valore scientifico in quanto frutto di mera ideologia, intesa nel senso deteriore del termine quale cattiva coscienza -come superbamente evidenziato da Marx-, ma è anche antipluralista. In premessa, per accertare se impostazioni politiche caratterizzate da egualitarismo possano essere effettivamente pluraliste, respingendo le critiche della concezione realista, di cui si è confutata la parte costruttiva ma non ancora quella distruttiva delle avverse concezioni, occorre spostare il discorso su altro piano. Innanzitutto, occorre accertare se impostazioni egualitarie siano compatibili con criteri di razionalità economica, mentre la concezione realista la intende in modo acritico ed apodittico in senso individualistico. In via ulteriore, occorre accertare se il potere sia suscettibile di essere adeguatamente controllato al fine non solo di impedire suoi abusi, ma anche di funzionalizzarlo agli interessi dei soggetti assoggettati al potere. Per la risposta positiva su entrambi i punti, si rimanda ad apposite sedi. Ciò premesso, nel merito, l’egualitarismo, anche quando diventa radicale e così anticapitalistico e socialista, non esclude il conflitto, in quanto intende non eliminare il potere, in un’ottica utopistica, ma funzionalizzarlo agli interessi dei destinatari del potere: da ciò consegue in via indefettibile che l’egualitarismo non comporta né un appiattimento antimeritocratico, né una società conciliata e caratterizzata da unanimismo, ma al contrario presenta una profonda dialettica tra sviluppo economico e valori sociali. Sei sono i profili più rilevanti. Il primo è il rapporto tra politica ed economia, vale a dire tra programmazione pubblica accentrata e unità economiche decentrate. Il secondo è il rapporto tra lavoro non qualificato e lavoro qualificato ed addirittura piccola e media imprenditoria, mentre a tendere, vale a dire a medio-lungo termine, i complessi imprenditoriali grandi saranno nazionalizzati. Il terzo è il rapporto tra produzione e consumo. Il quarto è il rapporto tra economia e società. Il quinto è il rapporto tra economia reale e finanza, questa comprensiva dell’intermediazione bancaria/finanziaria e del risparmio, con annesso il rapporto tra tali due componenti economiche. Il sesto è il rapporto tra produzione e natura. In via generale, il ruolo propulsivo dell’economia resta imprescindibile per assicurare lo sviluppo, ma non deve ledere l’equilibrio sociale, relativo ad una società coesa e compatta pur nelle distinzioni e quindi egualitaria. Il punto di compatibilità non può essere fissato in via rigida ma viene ad essere determinato dall’esito dei conflitti, fermo restando il rispetto di paletti insormontabili, il che non è affatto antipluralista in quanto qualsivoglia società deve impedire la propria disgregazione. Ciò non impedisce il cambiamento di società, purché in via democratica. Altra condizione necessaria è che il nuovo modello sia rispondente a razionalità economica: tale condizione sembra tale da violare il principio di democrazia, vincolando le scelte popolari maggioritarie. In realtà, poiché la razionalità economica è a base della società, in sua assenza la stessa si condanna al disordine ed alla disgregazione. Con il metodo democratico si possono assumere scelte irrazionali, anche su temi fondamentali, ma si apre una strada precaria e non permanente. All’obiezione che la razionalità è un concetto non univoco, è facile replicare che essa si identifica con l’idoneità di soddisfare le esigenze generate dalla società e così è un concetto storico. Una società egualitaria ha il proprio equilibrio così come una società ad essa opposta e non è affatto innaturale: semplicemente elimina il dominio. Il dominio è un elemento naturale dell’uomo come essere naturale ma non risponde a ragione, che ammette valorizzazione dei migliori, ma non la lesione degli altri. Quindi, il vero punto è fino a che punto la ragione possa controllare la natura. Ma se anche il dominio lede altri aspetti naturali, il discorso investe, una volta preso atto della dialettica tra ragione e natura –che non si trasforma di per sé in conflitto-, il conflitto tra illimitatezza dei bisogni e limitatezza dei mezzi: il controllo della natura da parte della ragione diventa necessario a pena altrimenti di cadere in una logica distruttiva sia della società sia della natura non umana. L’eguaglianza sostanziale è una tendenza inarrestabile ed anch’essa naturale: il problema è di individuare il punto oltre il quale essa diventa innaturale ed entra così in conflitto con la natura, sconfinando nell’utopia e nell’escatologia. Si devono quindi affrontare i vari profili sopra menzionati.

******************************************************************************************************************************************************************** Lo scrivente comunica che è stato nominato Consigliere di Amministrazione del Monte dei Paschi di Siena, che è una banca quotata in borsa e ed è partecipata in via di maggioranza dal Ministero dell’Economia e Finanze. Pertanto, lo scrivente ritiene, per correttezza e trasparenza, di non destinare più al pubblico sia articoli sia altri scritti a titolo di commento. Gli stessi possono essere letti da chi è interessato esclusivamente come componenti di futuri libri di natura dottrinale, in materia giuridica, filosofica, politica, economica e storica: non sono -e non saranno- in alcun modo riferiti all'attualità. FRANCESCO BOCHICCHIO
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  • Last modified on Wednesday, 27 May 2020 13:28