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ANCORA SULLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA SULLA POLITICA BCE DI ACQUISTO DI TITOLI PUBBLICI NAZIONALI: GLI SCENARI DELL’EUROPA. E LA SINISTRA? Featured

  • Wednesday, 27 May 2020 12:23
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ANCORA SULLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA SULLA POLITICA BCE DI ACQUISTO DI TITOLI PUBBLICI NAZIONALI: GLI SCENARI DELL’EUROPA. E LA SINISTRA? di FRANCESCO BOCHICCHIO Paolo Favilli, insigne intellettuale di sinistra –marxista e riformista radicale, in modo non differente da come lo scrivente, che si definisce riformista critico; entrambi non rinunziano alla rivoluzione, ma ne rifiutano una versione volontarista- ha effettuato sul “Manifesto” un commento molto penetrante sulla sentenza della Corte Costituzionale tedesca (la Corte di Karlsruhe) sulla politica Bce –instaurata da Draghi e proseguita da Lagarde- di acquisto illimitato di titoli pubblici nazionali (“Quantitative Easing”), che non boccia tale politica ma prospetta in modo minaccioso la bocciatura. Favilli conclude tale intervento lamentando come la sentenza sia l’espressione più autentica del nazionalismo aggressivo del capitalismo nord-europeo. La conclusione di Favilli non è nella sostanza lontana da quella raggiunta dallo scrivente che aveva peraltro preferito far riferimento al concetto di imperialismo, visto che si sustanzia nel dominio diretto su altri Stati: il nazionalismo si concretizza nell’aggredire altri Stati ed è pertanto l’antesignano dell’imperialismo. Il nazionalismo si contraddistingue dall’indipendenza statale, perché questa è solo doverosamente difensiva, mentre esso nazionalismo è aggressivo: resta tale e non assurge al ruolo di imperialismo fino a quando invade o comunque annette territori altrui, ma non in modo totale e quindi non annulla lo Stato altrui bensì ne riduce l’estensione: caso classico è rappresentato dalla Germania di Bismark che invase solo parte della Francia ritenuta propria (e qui si entra in una situazione intermedia tra nazionalismo e conflitto tra indipendenze nazionali) (l’imperialismo fu invece tale nell’invasione dell’Africa); il secondo Reich, solennemente dichiarato grazie alle vittorie di Bismark, si fondava su un’imprecisione, in quanto era semplicemente l’unificazione di tutti gli Stati tedeschi, difensiva salvo anche qui una situazione intermedia tra nazionalismo e conflitto per le zone all’Est. Salvo tale precisazione, non banale in quanto foriera di sviluppi dogmatici ed addirittura essenziale per una corretta configurazione dell’approccio all’Europa, la conclusione di Favilli è simile a quella scrivente nelle citate note. Ma ciò nonostante, la strada per pervenire alla conclusione è profondamente diversa se non addirittura opposta. In Favilli manca un passaggio intermedio invece essenziale: il chiaro a. critica, giustamente, lo sbocco finale della sentenza della Corte di Karlsruhe, ma trascura di evidenziare che la prima parte della sentenza, quella relativa all’inammissibilità di norme fondamentali, anche costitutive, europee in violazione di norme costituzionali interne dei singoli Paesi aderenti; ciò fu già deciso da una sentenza di qualche anno fa della Corte di Karlsruhe, ma il vero problema è che analoga decisione non sia mai stata assunta dalla Corte Costituzionale italiana, nonostante le clamorose violazioni apportate dall’Europa a fondamentali disposizioni della nostra Costituzione (art.1,2° comma, art. 3,2° comma, art. 11, art. 41 e da ultimo art.47), come mostrato nelle precedenti note. Tale inammissibilità, con conseguente illegittimità, è fondamentale a tutela dell’indipendenza dei singoli Paesi, e della salvaguardia della democraticità degli ordinamenti di questi: ed infatti, è in gioco la sovranità interna dei singoli Paesi da un potere esterno, necessariamente –ed anzi in via assolutamente indefettibile- autoritario. Non a caso, se pur in presenza di sovranità interna non vi è necessariamente democrazia, è assolutamente certo che senza sovranità interna non vi è democrazia, in quanto l’autorità esterna non ammette volontà diversa da quella da sé imposta. Un’adesione volontaria ad un’autorità esterna –che quindi avrebbe la stessa valenza di una autorità interna- è inammissibile ed illegittima se se la volontà dell’adesione è viziata, vale a dire se viola la Costituzione interna, unica garante della correttezza e della legittimità delle forme di esercizio della pubblica potestà. Il vero è che nella demistificazione del concetto di sovranità che è emersa nel ‘900 sono stati realizzati due profondi errori. Da un lato, si è creata commistione tra sovranità interna ed estrema: la prima va intesa come monopolio del potere legittimo, quale caratteristica essenziale dello Stato, “Suprema potestas superiorem non recognoscens”, ma lo stesso non vale per la seconda, se non nei termini di difesa da ingerenze esterne, mentre nei rapporti con le altre sovranità si deve snodare su un piano esclusivamente negoziale. Dall’altro, si è vista la sovranità come fonte di un potere assoluto, addirittura originario -quale frutto della secolarizzazione del potere ed anzi dell’essenza divina-, mentre, sul primo profilo, la legittimità del potere, essenziale per assicurare l’ordine, non esclude la necessità di legalità, e sul secondo la mancanza di possibilità di democrazia diretta rende necessaria la rappresentanza, ma non esclude il controllo pregnante sul rappresentante provvisto di poteri non propri ma derivati. La sovranità popolare non è un ossimoro e non è esclusa dalla mancanza di democrazia diretta, questa utopistica e velleitaria: la rappresentanza non esclude la partecipazione dei rappresentati. La demistificazione della sovranità è rimasta vittima di commistione di piani tra autorità ed autoritarismo facendo discendere dalla prima il secondo, accettando quindi l’impostazione nefasta dei sostenitori della prevalenza della legittimità sulla legalità, la quale ha al riguardo utilizzato il ricorso allo stato d’eccezione. La sentenza della Corte di Karksuhe è indice di nazionalismo aggressivo, “rectius” di imperialismo, non nella parte in cui afferma l’inammissibilità di violazione, da parte delle norme europee, di disposizioni costituzionali interne, ma in quella in cui prospetta tale violazione nel sostegno finanziario dell’Europa ai Paesi deboli, tra l’altro realizzato con la politica monetaria, propria della Banca Centrale Europea, i cui costi andrebbero a carico del popolo tedesco. La Germania, mentre ha usufruito dei vantaggi dell’Europa per sostenere i costi dell’unificazione con quella dell’Est e per sostenere le proprie industrie esportatrici e per imporre il dominio di queste sull’Europa, ed ora ne usufruisce per il salvataggio delle proprie banche in crisi endemica, a partire dalla principale, Deutsche Bank, di fatto “in default”, con la sentenza in esame non vuole sopportare i relativi costi, a meno dell’abolizione di qualsivoglia ostacolo a rendere assoluto ed irreversibile il proprio dominio sull’Europa stessa (è quest’ultima la vera posta in gioco del “recovery fund”, come si è mostrato all’apposito riguardo). L’essere il Paese “leader” incontrastato e pilota di un’Unione sovranazionale, e usufruire dei vantaggi, senza sopportare i costi, nient’altro è che imperialismo (ancora morbido, mentre con il “recovery fund si vuole passare ad un dominio economicamente asfissiante). In definitiva, l’intervento di Favilli, condivisibile nella critica finale alla sentenza, è peraltro riconducibile ad un approccio infondato. Non è vero che l’Europa è ora oggetto di uno scontro tra nazionalismi opposti, come vuol far credere la destra nazionalista, in quanto invece lo scontro è tra imperialismo ed indipendenza nazionale. La Corte Costituzionale tedesca, dopo aver correttamente statuito l’inammissibilità e l’illegittimità di norme europee violatrici di norme costituzionali interne, ha poi aperto la strada ad un’interpretazione abnorme della Costituzione interna in base a cui sarebbe inammissibile per la Germania la partecipazione a forme paritarie di unione sovranazionale. Ma il “vulnus” è sanabile con una decisione della Corte Costituzionale italiana che stabilisca l’inammissibilità della partecipazione dell’Italia all’Europa così concepita. Se la Germania sceglie questa strada, l’opposizione va condotta, non al livello europeo, dove si erano già da tempo poste tutte le basi per una configurazione siffatta, ma al livello italiano, dove si può e si deve denunziare l’inammissibilità di ogni altra soluzione che non sia l’uscita dell’Italia dall’Europa. E’ ovvio che Favilli opera una vera e propria inversione dei termini della questione, evidenziando l’inammissibilità di una siffatta configurazione dell’Europa, mentre all’esatto contrario ad essere inammissibile è la partecipazione dell’Italia all’Europa, così come configurata. Il nodo diventa politico: Favilli dà per scontata l’Europa, come organizzazione sovra-nazionale, con la conseguenza che essa deve essere necessariamente paritaria, sulla base evidentemente di un diritto internazionale meraviglioso ma inesistente. Invece, occorre assumere l’unica decisione realistica, vale a dire se partecipare all’Europa come Impero tedesco o no. “Tertium non datur”. Le forme sovranazionali di integrazione di natura paritaria non esistono, mentre esistono solo Imperi cui aderire in forma più o meno rigida, rispetto a cui le alternative sono quella di restare indipendenti o comunque quella di stringere alleanze, pur restando indipendenti. L’Italia non ha la forza per restare in posizione di solitudine e pertanto, nel rafforzarsi contando sui propri fattori di ricchezza e sulla propria posizione strategica, dovrà pensare ad un’alleanza non subordinata, il che la conduce inequivocabilmente ed univocamente fuori dell’Europa e verso la Cina. E’ facile comprendere la ragione autentica dell’attaccamento di Favilli all’Europa quale interprete della civiltà occidentale, rispetto a cui ha sempre rappresentato il modello razionalista, illuminista, solidale, sociale e non aggressivo. Tale modello è stato raggiunto non in via naturale ma con grande fatica e con grande travaglio, ed è stato raggiunto grazie all’orpello dell’America, che rappresentava l’altro modello della civiltà occidentale. E’ un modello fragile che si è quindi facilmente esaurito. Sulla questione del “virus” è scoccata l’irreversibilità della rottura tra l’Europa del Nord, che non vuole essere solidale, e l’Europa del Sud che pratica la solidarietà, dopo aver mostrato una grande sollecitudine nel privilegiare la salute all’economia. Ernesto Galli della Loggia ha subito ricondotto la differenza alla religione, protestante per la prima e cattolica per la seconda, con immediati riflessi –grazie alla magistrale concezione di Max Weber- sull’etica, della responsabilità per la prima, vale a dire guardando alla realizzabilità dei programmi, e della convinzione per la seconda, vale a dire guardando alla bontà intrinseca dei programmi. La lettura di Galli della Loggia, pur estremamente acuta e raffinata, non spiega la situazione attuale. Essa vale per la fase espansiva e progressiva del capitale, non per quella attuale, regressiva. E l’Europa protestante si è miseramente dissolta, schiacciata tra America e Cina, senza dimenticare la Russia: la Germania è riuscita finalmente a realizzare l’atavico –e con conseguenze nefaste nel passato- sogno del dominio sull’Europa, quale Impero Tedesco, solo quando l’Europa è caduta in crisi spaventosa ed essa Germania si è trovata in una fase estremamente critica, con il proprio settore bancario sull’orlo del precipizio e con la propria industria esportatrice schiacciata tra America e Cina. L’etica protestante non a caso è rimasta prigioniera dell’impostazione weberiana di una responsabilità individuale –ed infatti Weber vedeva l’unificazione nella politica, ricondotta al carisma ed all’individualità-, con l’impossibilità di una vera e propria compattezza sociale. Su una cosa, assolutamente non secondaria, Galli della Loggia coglie nel segno: forte è il rischio che, anche in virtù del Cattolicesimo, la socialità sia intesa nel Sud Europa, ivi compresa l’Italia, come assistenzialismo. Su questa strada, l’Italia non può certo aspirare all’indipendenza. Ma l’alternativa non è costituita dall’Europa protestante e nemmeno dall’America, anch’essa in posizione di debolezza, che tenta, in modo velleitario, di rovesciare utilizzando il “virus” come pretesto. La soluzione è in un nuovo modello di sviluppo, di natura sociale ed anti-liberista –senza cadere nel nazionalismo-: proprio la crisi economica, prima di natura finanziaria ed ora aggravata dalla devastazione del “virus”, indica la strada di tale nuovo modello di sviluppo basato sulla compattezza della società e sulla stabilità finanziaria. ******************************************************************************************************************************************************************************************************** Lo scrivente comunica che è stato nominato Consigliere di Amministrazione del Monte dei Paschi di Siena, che è una banca quotata in borsa e ed è partecipata in via di maggioranza dal Ministero dell’Economia e Finanze. Pertanto, lo scrivente ritiene, per correttezza e trasparenza, di non destinare più al pubblico sia articoli sia altri scritti a titolo di commento. Gli stessi possono essere letti da chi è interessato esclusivamente come componenti di futuri libri di natura dottrinale, in materia giuridica, filosofica, politica, economica e storica: non sono -e non saranno- in alcun modo riferiti all'attualità. FRANCESCO BOCHICCHIO
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  • Last modified on Wednesday, 27 May 2020 12:28