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La riduzione dei tassi da parte della BCE

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LA RIDUZIONE DEI TASSI DA PARTE DELLA BCE di FRANCESCO BOCHICCHIO La riduzione dei tassi da parte della BCE è stata criticata dalla Germania quale segno di aiuto ai Paesi europei più deboli. L’America osserva con grande interesse tale situazione, ma non avalla abbandoni di cautela e quindi la politica della BCE non è irreversibile. Quello che conta non è tanto un’analisi a medio termine (“A lungo termine siano tutti morti” decretava Keynes), quanto piuttosto l’oggettiva convergenza tra la BCE e la politica della domanda sostenuta dall’America (recentemente sostenuta a livelli importanti della Comunità Europea) che proprio su questo punto ha criticato la Germania per penalizzazione della domanda interna, politica di esportazioni e mancanza di “deficit” dei conti pubblici (sempre Keynes era contrario a una situazione di eccessivo “deficit” pubblico ma anche di eccesso di “surplus” dei conti pubblici, quale situazione di squilibrio tra Stati, e la posizione di Keynes viene al momento ripresa nella Comunità Europea). In definitiva, si tratta non di abbandonare una politica di rigore ma di fornire la priorità ad una politica di sviluppo della domanda interna dell’Occidente. Tale dato politico trova concordi America e BCE: la Germania si trova in posizione delicata e senza grossi consensi. E’ forse prematuro ed in ogni caso eccessivo parlare di suo isolamento nell’Occidente: sta di fatto che a livello importante in Europa e nella massima istituzione europea, vale a dire la BCE, e dal Paese più importante dell’Occidente stanno venendo critiche stringenti alla sua politica economica ed alla sua politica europea, in direzione sia di un equilibrio europeo che di una politica della domanda. Si può forse dire come su entrambi i punti vi sia una forte strumentalità da parte dell’America gelosa della politica delle esportazioni della Germania, ma un’alleanza tra settori europei importanti e qualificati e l’America non è un qualcosa che si possa tranquillamente sottovalutare. Ma vi è un dato ancora più importante. Una misura espansiva quale quella in esame decisa da un’istituzione con a capo Mario Draghi, un sostenitore da sempre di politiche di rigore economico non può essere vista solo in chiave di opportunità politica od anche di segno di cedimento alle proprie origini nazionali, per sostenere uno dei Paesi più deboli dell’Europa quale l’Italia: è fondato sostenere che il rigore economico non è univoco e può essere perseguito in diverso modo, anche espansivo. L’economia smette di avere una configurazione unica e senza alternative e diventa suscettibile di esser indirizzata dalla politica. E’ un cambio epocale che fa giustizia di quanto insegnatoci dall’ortodossia liberista, vale a dire che l’economica è neutra ma anche autosufficiente e insuscettibile di essere sottomessa alla politica e comunque diretta da quest’ultima, anzi da dominare. Non è che la politica economica sia senza limiti, come sostengono autori della sinistra radicale, in quanto l’economia è sempre scienza dei mezzi, ma mentre la teoria liberista ortodossa ritiene che i mezzi si portino dietro i fini, ora con la svolta epocale i fini vengono affidati alla politica. Tale svolta epocale presenta due punti delicati. In primo luogo, la riduzione dell’economia entro i limiti di una scienza dei soli mezzi che può esser diretta dalla politica, diventa difficile da attuare con una sistema economico che pone al centro l’impresa e soprattutto riduce al minimo i controlli su questa. La volta epocale in altri termini richiede un cambio di linea di politica economica generale ed addirittura di configurazione dell’intero sistema economico capitalistico, non più da basare sul libero gioco del mercato ma da programmare e controllare. In secondo luogo, la riduzione dell’economia a scienza di mezzi si rivela non compatibile con un sistema economico basato sul ruolo centrale del capitale che tende alla propria accumulazione e che quindi necessariamente si rivela autosufficiente e tale da unire fini e mezzi in un qualcosa di indifferenziato e non separabile. Il capitalismo deve essere fortemente riformato in modo da ingabbiare gli spiriti animali del capitale. In chiave teorica, non si comprende perché la rinascita del marxismo, sempre più robusta, non riesca a riprendere ed a emendare dagli errori innegabili la teoria del valore–lavoro di Marx, unica in grado di fondare su base rigorosa l’autosufficienza del lavoro e la riconducibilità del valore al lavoro. Certamente, tali conclusioni sono tratte da chi scrive, in quanto Obama e Draghi ben si guardano dal potersi avvicinare ad esse anche timidamente, né possono farlo visto il loro ruolo: ma sono conclusioni inevitabili date le premesse. La Storia è così: gli uomini fanno delle svolte, poi le conseguenze sono inevitabili e tali da essere trascinate senza tregua, lo dicevano i latini: “Fata volentem ducunt, nolentem trahunt”. Lo diceva Marx, ne “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni”.
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  • Last modified on Friday, 02 May 2014 16:47